"Drogati" di internet e smartphone: se l'uso smodato sconfina nel patologico

Studio della professoressa Liliana Dell'Osso, direttore dell'Unità Operativa di Psichiatria I

Liliana Dell'Osso

Liliana Dell'Osso

Pisa, 8 settembre 2015 - Internet e smartphone possono creare una vera e propria dipendenza. Ad indagare il sottile confine tra un uso normale e un rapporto patologico è la professoressa Liliana Dell'Osso, direttore dell'Unità Operativa di Psichiatria 1 dell'Azienda Ospedaliera Pisana. 

Ecco un estratto dello studio.

"Lo smartphone è sempre a portata di mano, quattro chiacchiere su facebook sono più frequenti di un té con le amiche e coi compagni giochiamo online. Abbiamo un problema con internet? Forse no. E se è vero che un incontro dal vivo non può essere sostituito da uno virtuale, in una società dai ritmi frenetici le nuove tecnologie possono essere una risorsa. Sarebbe sciocco demonizzare l'uso dell'iphone, della posta elettronica o dei social, modalità di comunicazione ormai parte della vita di tutti. Molti di noi avrebbero difficoltà a farne a meno, anche in assenza di una modalità d'uso patologica. Quello di dipendenza è un concetto spesso fraiteso: considerata in se stessa, è un meccanismo fisiologico e necessario.

Siamo dipendenti dalle nostre abitudini, dal cibo, dalle persone che amiamo. Ma quando la dipendenza diviene patologica? Quando i pensieri sull'oggetto che ci interessa diventano intrusivi, ed esso diventa, da piacevole diversivo, il centro della nostra vita. Quando non riusciamo più a smettere, neppure se lo vogliamo. Quando dobbiamo dedicare sempre più tempo all'attività desiderata, o attuarla con maggior intensità, per trarne piacere, e si esperisce un grave disagio in mancanza di essa. Quando il desiderio diviene incontrollabile, spingendoci ad una ricerca compulsiva e portandoci a trascurare il lavoro, i legami con familiari ed amici.

Un meccanismo che può influenzare le nostre azioni al punto da renderle, paradossalmente, non più funzionali a mantenere il comportamento ricercato. Immaginiamo un videogiocatore incallito che per trascorrere più ore al pc smetta di lavorare: in breve tempo non potrà più mantenersi e dovrà interrompere l'attività di gioco tanto desiderata.

È in quest'ottica che si dovrebbero valutare i possibili rischi dell'impatto del web 2.0 sulla nostra vita.

Ma cosa ci attrae così tanto dei contatti virtuali, fino al paradosso di trascurare le persone in carne ed ossa per chattare al pc, magari con sconosciuti? Una spiegazione può trovarsi nella differente modalità di socializzazione offerta dalla rete, che grazie all'anonimato ed al filtro dello schermo risulta appetibile, ad esempio, a chi ad esporsi nelle relazioni reali trova difficoltà. Nella vita reale, la spinta alla coesione si basa sull'identificazione con un gruppo - una classe scolastica, i colleghi di lavoro, uno sport di squadra. Un soggetto con tratti di ansia sociale potrà sentirsi giudicato ed inibito nell'esprimere contenuti personali, oscillando tra le soluzioni dell'autoesclusione e dell'omologazione. La gratificazione ricavata dall'approvazione online, tramite rapidi feedback che stimoleranno i circuiti della ricompensa, potrà portare all'instaurarsi di una dipendenza patologica dalle relazioni virtuali. E non solo sui social network, ma anche su blog, forum, canali di streaming. E' proprio la moltepilicità di declinazioni a caratterizzare il fenomeno dell'internet addiction.

La forma più nota è quella del gioco online, presente anche nel nuovo DSM-5. In questo ambito i software più gettonati, anche se non certo gli unici, sono i "MMORPG", "Massive(ly) Multiplayer Online Role-Playing Game". Giochi estremamente immersivi, dove si può creare un personaggio e svilupparne le caratteristiche sin nei minimi dettagli, a prezzo di molte ore di "lavoro" online. In un circolo virtuoso, il prestigio ottenuto dai personaggi virtuali incrementa quello del giocatore, sommandosi ai feedback postivi già ottenuti tramite gli obiettivi di gioco. Più si considereranno importanti gli obiettivi virtuali, con relativo spostamento della ricerca di gratificazione dal mondo reale a quello virtuale, più aumenterà il rischio di disagio soggettivo nell'uso di internet. In questo contesto si potrà giungere allo sviluppo di una dipendenza patologica, ed ai comportamenti disadattativi ad essa correlati.

E' importante quindi prestare sempre attenzione ai campanelli d'allarme, senza però confondere, in un'era di grandi mistificazioni, l'uso con la patologia".