Trent’anni per avere in pensione dieci euro in più: odissea burocratica

Incredibile storia di ordinaria burocrazia di un ex lavoratore della Pubblica Assistenza

Una sede dell'Inps

Una sede dell'Inps

La Spezia, 2 marzo 2015 - ERA IL 5 GENNAIO del 1984 quando R.T., spezzino, oggi pensionato di 64 anni, inviò all’Inps una lettera. Nella missiva, l’allora dipendente della Pubblica Assistenza cittadina chiedeva di riscattare tre mesi di lavoro svolti dal 1° gennaio 1974 al 31 marzo dello stesso anno, quando aveva 24 anni, in una ditta locale. Quell’azienda, all’epoca, non gli aveva pagato i contributi, ma lui se ne era reso conto solo al momento di fare le pratiche all’Inps. Non è difficile pensare che, a distanza di 31 anni, l’ex impiegato della Pubblica Assistenza pensasse a tutto tranne che alla risposta dell’istituto di previdenza. Invece, tre giorni fa nella buca delle lettere la sorpresa, dal sapore beffardo: «Ecco il celere responso dell’Inps», come lo ha definito il figlio quando ha consegnato a La Nazione la copia del documento. «Beh – scherza – deve aver fatto il giro del mondo prima di arrivare a casa nostra: ha impiegato poco più di trent’anni. Mio padre ha fatto in tempo a invecchiare e ad andare in pensione con i contributi del lavoro svolto alla Pubblica Assistenza».

Tutto qui? No, perché adesso il signor T. dovrebbe pagare 90 euro e qualche centesimo per vedersi riconosciuto il riscatto e dunque aggiungersi, alla attuale retta mensile che percepisce, all’incirca 10 euro.

«Chi ce lo fa fare – chiosa la moglie – Per una cifra così irrisoria, è più l’ammattimento cui andremmo incontro per fare le pratiche, che l’irrisorio beneficio economico. Perciò ci siamo rivolti alla stampa, per puntare il dito contro le lungaggini burocratiche che da sempre condizionano il nostro Paese. Una risposta di un ente pubblico non può arrivare dopo un’era geologica. Una persona fa in tempo a morire».