Uccisa a Sarzana, allarme inascoltato: Antonietta altre volte in ospedale per lesioni

Tre referti medici per la donna, ma la magistratura non ha saputo "VOLEVO SOLO SPAVENTARLA"/ IEMMA SI COSTITUISCE/ IL DELITTO-FOTO

Antonietta Romeo e Salvatore Iemma col figlio Salvatore e la sua compagna in un momento felice

Antonietta Romeo e Salvatore Iemma col figlio Salvatore e la sua compagna in un momento felice

Sarzana, 18 agosto 2014 - VOLEVA farsi una nuova vita ma non voleva complicarla con le sue tribolazioni esistenziali: il marito che manteneva, col quale litigava spesso per il mantenimento dei figli e che potrebbe anche averla malmenata, prima di ucciderla con un colpo di pistola al cuore dopo l’irruzione nella casa famiglia di via Turì a Sarzana. Il condizionale sulle botte riconducibili alla mano pesante di Salvatore Iemma è d’obbligo nella misura in cui Antonietta Romeo, nei tre accessi al pronto soccorso dell’ospedale di Sarzana — accumulati da marzo a luglio — per farsi medicare le ferite da aggressione, alla domanda di rito sull’identità dell’autore delle stesse si è limitata a dire «persona conosciuta». 

TALE DIZIONE è finita nei referti, con una non-conseguenza, ossia la mancata attivazione di denunce e procedimenti mirati sull’aggressore. Se quei referti fossero finiti al vaglio della Procura della Repubblica forse, ora, Antonietta sarebbe ancora in vita a combattere per ricostruirsi un’esistenza dignirosa, a lottare nella causa civile per la separazione giudiziaria, avversata dal marito che non accettava l’idea dei divorzio, protetta dalle misure previste per le vittime dello stalking, a cominciare dal divieto di avvicinamento imposto all’uomo che vessa la donna.

Passi per le due refertazioni del mese di marzo, per lesioni lievi, la cui perseguibilità scatta su querela di parte (anche se di fronte a fatti lievi ma continui si può comunque incardinare d’ufficio il procedimento per maltrattamenti). Ma l’ultimo riscontro diagnostico, nella seconda decade di luglio, avrebbe dovuto rappresentare un campanello di allarme per il ‘sistema’ a cavallo fra sanità e giustizia: il numero di giorni in cui le lesioni, al costato, sono state giudicate guaribili, fu 21: la rampa di lancio della procedibilità d’ufficio. Quanto sarebbe bastato, cioè, per ‘incanalare’ il referto su una corsia che l’avrebbe poi portato al vaglio delle forze di polizia, e quindi della magistratura. Ma così, quanto meno allo stato degli atti, non è stato. Pesa, sulla circostanza, l’assenza all’ospedale di Sarzana del cosiddetto “posto fisso” di polizia, cioè la presenza costante (o quasi) di un poliziotto per monitorare giorno per giorno gli accessi suscettibili di dar vita a fascicoli penali, quindi a inchieste. 

A SARZANA il monitoraggio pare più affidato alla buona volontà di risorse umane disponibili, oltreché alle intuizioni dei camici bianchi. Un aspetto della vicenda che, al di là di eventuali approfondimenti per accertare se qualcuno sia o meno perseguibile per omissione d’atti d’ufficio, rilancia il ‘bisogno’ del presidio sul territorio della forze all’ordine, altro che “colpo di spugna” alla caserma dei carabinieri di Sarzana, come è balenato sei mesi scorsi sull’altare sacrificale della spending review. La prospettiva, seppur stoppata sull’onda della mobilitazione popolare, resta. Ma certo quello che è accaduto in via Turì costituisce un ulteriore monito a stare e semmai ad aumentare l’operatività del presidio-cardine per la sicurezza del territorio.