Ora in moschea si predica in italiano: a Firenze primo sermone per tutti

La svolta dopo il patto fra sindaco e imam: "Vogliamo solo pregare"

L'imam Izzedin Elzir durante il sermone di ieri

L'imam Izzedin Elzir durante il sermone di ieri

Firenze, 13 febbraio 2016 - "Prima di morire, il profeta disse: ‘trattate bene la donna’. Dovremo ricordarcelo ogni volta che ci sono casi di maschilismo". E’ un venerdì appicicoso di pioggia e aria densa nella (pseudo) moschea fiorentina di Borgo Allegri, un grosso garage rinfrescato con qualche mano di vernice, da dieci anni punto di riferimento della comunità islamica cittadina. Mezzogiorno è passato da poco quando Izzedin Elzir – imam di Firenze e presidente dell’Ucoii, l’unione nazionale delle comunità islamiche – scrive a modo suo una piccola pagina di storia recitando parte del sermone del venerdì, oltrechè in arabo, anche in italiano, toccando per giunta temi nient’affatto banali come appunto il ruolo della donna nella società. 

E’ il primo atto solido del ‘patto di cittadinanza’ sottoscritto nei giorni scorsi fra lo stesso imam e il sindaco di Firenze, Dario Nardella. Un patto ‘apripista’ che si propone di diventare un modello su scala nazionale e che contempla, oltre appunto alla garanzia di pregare anche in lingua italiana nelle moschee, un coordinamento permanente tra la comunità islamica, i luoghi di culto musulmani e la città con "iniziative volte a promuovere la conoscenza della lingua e della cultura italiana e i principi del nostro ordinamento culturale, da realizzare anche nei centri culturali e nei luoghi di culto".  Izzedin Elzir celebra la preghiera come «l’aspetto più importante dopo la fede», rilancia l’importanza del "contatto diretto con il creatore" e cita perfino la figura di Gesù. La rivoluzione non sconvolge i fedeli musulmani che ascoltano in silenzio le parole dell’imam. C’è voglia di capire. Un nuovo corso, d’altronde, è inevitabile. Abdel s’infila i calzini e le Nike, lasciate sul marciapiede bagnato subito fuori. Sorride, non ha nemmeno trent’anni: "E’ giusto parlare anche in italiano, perché no? Non abbiamo segreti, vogliamo solo pregare come voi". 

Il primo ponte sembra così stare in piedi, pare solido. Il problema semmai, sarà tradurre in fatti le parole. Già perché a Firenze è ancora aperta la partita della nuova moschea. Da una parte la comunità islamica che la chiede con forza da anni, dall’altra il Comune che nicchia, prende tempo e spesso si sfilaccia in veleni incrociati fra partiti che non la vedono esattamente allo stesso modo.  In mezzo c’è un rione del centro storico della città, piuttosto muscolare e spiccio – Sant’Ambrogio, a due passi dal Duomo – che sopporta con i nervi sempre più tesi la convivenza con la massiccia comunità islamica che ogni venerdì invade le strette strade del quartiere srotolando tappeti per la preghiera, apprecchiando sui cofani delle macchine in sosta e bloccando il passaggio sui marciapiedi. Si cerca un altro spazio adatto alle esigenze dei trentamila musulmani fiorentini, ma nessuno fa i salti di gioia all’ipotesi di ritrovarselo sotto casa. L’imam predica ("Dobbiamo continuare sulla strada del confronto e della conoscenza"), ma la strada non sembra ancora sgombra. 

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