Mostro di Firenze, la verità dell'ex legionario. "Pia Rontini uccisa per un rifiuto"

Vigilanti tira in ballo un altro medico che aveva infastidito la vittima

Giampiero Vigilanti

Giampiero Vigilanti

Firenze, 29 luglio 2017 - Nelle pagine e pagine di verbali riempiti con le parole di Giampiero Vigilanti, spunterebbe anche il nome di chi, poche ore prima dei colpi della Beretta calibro 22, aveva avvicinato e infastidito Pia Rontini, la giovane trucidata assieme al fidanzato Claudio Stefanacci il 29 luglio del 1984 alla Boschetta di Vicchio: un altro medico del posto, "rifiutato" dalla bella commessa. Quello del pedinamento alla ragazza, è un dettaglio emerso e riemerso, nei processi. Ed è inquietante. Un particolare ribadito fino a che ha avuto fiato pure da Renzo Rontini, il babbo della più giovane delle sedici vittime (18 anni), finito sul lastrico per perseguire la sua personale caccia al mostro di Firenze e morto proprio quando l’inchiesta imboccava la strada dei compagni di merende, nel 1998.

Vigilanti sa. O almeno dice di sapere. Millanta ed esagera, oppure fornisce prove per «certificare» la bontà dei racconti che da quattro anni hanno rimesso al lavoro la procura e i carabinieri del Ros?

L’insistena e la pazienza con cui gli inquirenti hanno ascoltato la versione a 360 gradi dell’ex legionario nato in Mugello e residente a Prato, fanno pensare che ci siano cose da tenere in considerazione, nel suo "teorema" su mandanti e vittime. Mettendo sul piatto un nome – ovviamente al vaglio degli investigatori – sul "movente" che sarebbe costato la vita ai fidanzatini di Vicchio (una sorta di vendetta verso la ragazza che aveva rifiutato le avances), l’86enne supporta la tesi "rivoluzionaria" da lui introdotta. E cioè quella che i delitti fossero ordinati dal "secondo livello" (in cui inserisce il medico iscritto alla massoneria, Francesco Caccamo), ma la scelta delle vittime non fosse casuale bensì frutto di una delirante selezione fatta dagli esecutori materiali degli omicidi o in base ad informazioni raccolte da persone a loro vicine.

Vigilanti appare particolarmente "ferrato" sui delitti avvenuti in Mugello, ma raramente si chiama in causa: "Io sono pulito, se c’entrassi qualcosa sarebbero già venuti a prendermi", ha ribadito quando a casa sua son piombate le telecamere. Ma a un certo punto dell’inchiesta, da persona informata sui fatti il suo status è cambiato. Da "testimone" è diventato un indagato. Segno che forse, per gli inquirenti, sa molto ma non racconta tutto. O forse dice ciò che gli conviene dire. È curioso anche l’atteggiamento tenuto dall’ex legionario, dopo questo suo nuovo coinvolgimento nelle indagini sugli omicidi delle coppiette.

La prima perquisizione, alla fine del 2013, è infatti «suggerita» dall’esposto presentato dal legale della coppia di francesi uccisi agli Scopeti nel settembre del 1985. Da casa Vigilanti spuntano "cimeli" del suo passato nella Legione Straniera ma niente che possa collegarlo direttamente agli omicidi. Ma lui decide di aprirsi, offrire una sorta di collaborazione. Perché?

Il suo passato resta un intrigo, l’ipotesi di una sua appartenenza a strutture paramilitari lo rendono un personaggio misterioso, a tratti ambiguo. Ogni sua parola, pare sempre soppesata e mai scontata. Così come sembrano calcolati certi eventi «clamorosi». Come non pensare alla storia dell’eredità: incredibile è quell’enorme lascito, strana è pure la necessità di strombazzarlo ai quattro venti, per lui che ha vissuto una vita non certo nell’agio. Sinistra coincidenza pure quella che la presunta eredità dello zio Joe (che gli inquirenti dubitano sia mai esistita) gli piombi addosso proprio nell’anno, il 1998, in cui Pietro Pacciani viene trovato morto in casa a Mercatale Val di Pesa, prima che venga processato di nuovo dopo l’annullamento della sentenza di assoluzione in Appello.

Perché in tutta questa storia, ci sono anche i soldi. Nemmeno pochi: sia il Vampa, che Mario Vanni, avevano un’incredibile disponibilità di quattrini: Pacciani, nel 1984, compra per 35 milioni di lire la casa di Mercatale e dissemina più di centocinquanta milioni in buoni postali in diversi ufficetti postali della zona. E Vanni, ricordano i testimoni, girava con "rotoli" di contanti in tasca da due o tre milioni. Per la sentenza che condannerà il postino di San Casciano all’ergastolo (per gli ultimi quattro delitti), quelle ricchezze sono la prova che i "lavori" venivano pagati dai mandanti. Chissà cosa ha riferito Vigilanti a proposito di questo.

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