Bruciata viva dal compagno, la cassazione: si torni in assise per omicidio volontario

Accolta la richiesa dell'avvocato di parte civile Nucci di rifare il processo. Il pm di cassazione aveva chiesto l'inammissibilità del ricorso e la conferma dei 10 anni. Nella foto il testimone

il barista che ha soccorso la rumena, Leonardo Mastrascusa

il barista che ha soccorso la rumena, Leonardo Mastrascusa

Arezzo, 2 marzo 2018 - La Cassazione ribalta tutto, accoglie il ricorso avanzato dall'avvocato Domenico Nucci, parte civile, e rimanda il caso a nuova sezione della corte di appello di Firenze per rifare il processo per omicidio volontario. Tutto ciò nonostante il pm di cassazione avesse chiesto l'inammissibilità del ricorso e di conseguenza la conferma della condanna a dieci anni per omicidio preterintenzionale.

La storia è quella della donna bruciata per mano del compagno clochard. Il barista che la soccorse per primo raccontò di una donna arsa viva, come uno di quei bonzi che si davano fuoco per protesta durante la guerra del Vietnam. A cospargere d’alcool MariaMarin, rumena di mezza età senza tetto nè legge, e poi a darla alle fiamme con un accendino, era stato il compagno Guran Bunomi, anche lui un clochard, che i carabinieri presero la sera dell’11 settembre 2014, poche ore dopo il rogo ai margini di una capanna di via Duccio da Buoninsegna, nella zona dove fanno tappa i circhi.

Per il Pm di cassazione non meritava più della condanna a dieci anni per omicidio preterintenzionale inflitta dalla corte d’appello, riformando la sentenza del Gup Piergiorgio Ponticelli: 14 anni per omicidio volontario. L’accusatore del Palazzaccio aveva infatti chiesto che venga dichiarata inammissibile il ricorso presentato contro il verdetto dalla procura generale di Firenze.

A sostenere la tesi che il processo si debba rifare presso un’altra corte d’appello (quella di Perugia) e per omicidio volontario era rimasto  solo l’avvocato di parte civile Domenico Nucci, che in aula rappresentava il figlio della vittima. A tarda ora mancava ancora il pronunciamento della cassazione, arrivata ieri con piena soddisfazione della parte civile.

La storia, all’epoca, destò enorme emozione e non poche polemiche dopo la seconda sentenza. Era l’ultimo giorno della Fiera del Mestolo e il clima di una città mobilitata per l’evento fu squarciato dalle sirene che correvano in via Mecenate, due passi da via Duccio da Buoninsegna, doveMaria Marin era riuscita a rifugiarsi in un bar. Col poco fiato che le rimaneva prima di sprofondare nel coma da cui non sarebbe più uscita fece un’accusa ben precisa: «E’ stato il mio uomo».

Lui all’inizio negò, raccontò che aveva fatto tutto da sola, ma il Gip non gli credette e confermò l’arresto. Così come non gli credette il giudice Ponticelli quando nel 2015 lo condannò per omicidio volontario. Un anno dopo, il 6 ottobre 2016, il colpo di scena in corte d’appello: omicidio preterintenzionale, lui voleva farla soffrire, non ucciderla.

Difficile da spiegare al figlio di una donna che aveva sofferto le pene dell’inferno, quelle degli ustionati, nell’ospedale di Genova in cui morì dopo settimane di agonia. E infatti lui non si è mai rassegnato, seguendo passo per passo, da parte civile, il ricorso della procura generale.

Salvatore Mannino