Donne scomparse: Remorini chiede la riapertura del processo

«Ha visto Velia viva, a Brescia». Le parole di un commerciante lombardo

Massimo Remorini

Massimo Remorini

Viareggio, 9 settembre 2019 - Condannato a 38 anni con pena già passata in giudicato. Ma non per questo si arrende al suo destino, quello praticamente di trascorrere il resto della vita in carcere. Per questo Massimo Remorini, considerato in tre gradi di giudizio, responsabile della morte di Velia Carmazzi e di sua madre Maddalena Semeraro (il famoso giallo delle donne scomparse di cui ha parlato tutta la stampa nazionale) e dell’occultamento dei loro cadaveri, si è affidato a un nuovo avvocato, Alessandro Maneschi del foro di Massa. E tramite lui potrebbe chiedere la riapertura del processo. E’ ovvio che per ottenere un riesame servono prove certe e fatti nuovi incontrovertibili. Remorini sostiene di poter portare in tribunale un nuovo teste, un commerciante di Brescia, che avrebbe visto Velia Carmazzi in un campo Rom della città lombarda. Un altro avvistamento, insomma, dopo i tanti che erano stati annunciati e mai confermati nel corso degli ultimi 10 anni, da quando nell’estate del 2010 il caso deflagrò dopo la denuncia di David Paolini, il figlio proprio della Carmazzi. Al momento questa, sia chiaro, è solo la dichiarazione di Massimo Remorini. E nulla più. Per riaprire il caso non basta probabilmente una segnalazione e una testimonianza di qualcuno pronto a giurare di aver visto viva la donna. Serve portare davanti a un’autorità giudiziaria la stessa Velia Carmazzi, se fosse ancora viva.

Sta di fatto che indagini investigative difensive potrebbero essere effettivamente avviate. Massimo Remorini è stato condannato in Cassazione a 38 anni di carcere (stessa sorte per Anna Casentini anche se con profili diversi e pena più mite, 16 anni) il 19 aprile del 2017. In tre gradi di giudizio è stato ritenuto colpevole della morte colposa delle due donne e della sparizione dei cadaveri. Secondo la ricostruzione non si trattò di un omicidio, ma morte per cause naturali determinata dalle condizioni di degrado in cui Remorini costrinse madre e figlia a vivere. Il famoso campo degli orrori di Torre del Lago, al cui interno, in una roulotte vivevano le due donne, poi decedute una dopo l’altra. Per condannare Remorini fu decisiva la testimonianza chiave di Francesco Tureddi, per tutti Cecchino. Il quale ha raccontato ai giudici di aver visto lui il corpo di Maddalena Semeraro bruciato all’interno di un sacco nero. Una testimonianza giudicata credibile dagli investigatori e dai giudici e che ha retto a tre gradi di giudizio. Adesso Cecchino è morto.

Ma fino all’ultimo, insieme al suo avvocato di fiducia Aldo Lasagna, ha sempre sostenuto e ribadito quanto riferito davanti ai giudici. «Non avrei potuto vivere con quel peso sulla coscienza – ha detto e ridetto anche a processo concluso – Ho raccontato la verità, ho detto quello che ho visto. Ho fatto cose non belle nel corso della mia vita, ne sono cosciente. Ma non voglio essere complice di una cosa del genere». Sono le parole che hanno inchiodato Remorini di fronte alle sue responsabilità. Per sempre. Almeno fino a questo momento. Almeno che non emerga un fatto nuovo che possa ribaltare la sentenza della Cassazione.

Paolo Di Grazia