La storia di Adele Pardini, superstite di Sant’Anna: "Ho ancora gli incubi e sogno la fuga disperata"

Il 12 agosto del ’44 le truppe tedesche rastrellarono la sua famiglia nel piccolo borgo. Sua mamma Bruna fu uccisa davanti ai suoi occhi con in braccio la sorellina di 20 giorni

La signora Adele Pardini, sopravvissuta alla strage di Sant'Anna

La signora Adele Pardini, sopravvissuta alla strage di Sant'Anna

Stazzema, 23 aprile 2024 – “Sono Adele Pardini, nata il 12 settembre 1940. Nella vita il numero 12 mi ha sempre segnato". Siede al tavolo della sua casa a Pozzi e comincia quel racconto straziante e immersivo. Adele aveva 4 anni quando il 12 agosto 1944 le truppe tedesche rastrellarono Sant’Anna, uccidendo sua mamma Bruna con in braccio la sorellina Anna di appena 20 giorni. E distruggendo la serenità di quella famiglia di 9 figli.

Cosa accadde?

"Mio babbo Federico portò a lavorare al terreno in Cacciadiavoli Vittorio di 7 anni, Siria di 9, Licia di 12 e Vinicio di 14. Noi 5 sorelle rimanemmo a casa e stavo facendo colazione col latte seduta su cassapanca quando i soldati ci trascinarono al muro dell’adiacente casa degli zii. Ci misero in ordine di altezza con i mitra davanti. Mia sorella Cesira, la più grande di 18 anni, chiese a mia mamma di prendere con sè la piccola Anna ma mia mamma sapeva che senza di lei non sarebbe sopravvissuta e invocò pietà per la sua bambina. Un soldato tirò fuori la pistola e la colpì in testa. I militari iniziarono a sparare a raffica".

Come si salvò?

"Fatalmente, nel cadere, mia mamma spinse la porta della stalla che era dietro le nostre spalle. Lilia mi teneva la bocca perché urlavo, Cesira mi tirò dentro e finimmo nelle gabbie di conigli e carbone con la porta che si richiuse subito su se stessa. Sentimmo che stavano per dare fuoco alle case e così tornammo fuori per fuggire. A terra c’era il corpo di mia mamma: era robusta, non ce la facevo ad attraversarla e fui costretta a passarle sopra. Cesira le aprì le braccia e prese la piccola Anna. Correvamo a perdifiato mentre ci sparavano dietro. Lilia era tutta ’tronca’ colpita alla testa, Cesira a gambe e braccia, Anna aveva 7 pallottole nelle fasce. Cesira sentì un lamento sotto il corpo di una giovane mamma e salvò suo figlio, Paolo Lencioni che aveva un anno"

Poi?

"Raggiungemmo il babbo e si consumò un altro atto di strazio. Tornò a casa. Mia sorella Maria ormai non camminava più e fu portata in ospedale da campo a Valdicastello dove morì il 19 settembre. Lui ricompose il corpo di mamma e lo distese sul pavimento e rimanemmo attorno a lei tutta la notte. Una giovane che allattava provò a nutrire Anna, addirittura con l’aiuto di un cucchiaino ma il 4 settembre la piccolina si arrese".

Cosa ricorda della mamma?

"Purtroppo non ho memoria. Però Cesira mi ha detto che in quei giorni facevo le bizze, la cercavo e non me ne facevo una ragione che mi avesse lasciato. Mi vergogno a dirlo, ma da adulta mi sono chiesta perchè il destino mi avesse tolto mia madre al posto di mio padre: era una donna forte, vendeva i prodotti della terra a Pietrasanta e ci cuciva i vestiti".

Che ne fu di lei?

"Mio babbo mi mandò in collegio alle Focette. Quando Cesira si sposò mi prese con sè, intanto anche mio padre si era sposato con una cugina vedova dalla quale ebbe un figlio, Mario Pardini. Pensò fosse giusto riunire tutta la famiglia e tornammo a vivere nella casa di Coletti. Ho trascorso un’adolescenza infernale in quel luogo di dolore. Così andai a fare la donna di servizio dall’allora direttore delle miniere di Valdicastello".

Quanto vi raccontavate in famiglia di quella tragedia?

"Non ne abbiamo mai parlato. Fino al processo al tribunale di La Spezia. C’era pure una sorta di stigma di vergogna. Chi era di Sant’Anna nel Dopoguerra difficilmente trovava lavoro e ci davano da mangiare di nascosto. Una donna gridò: ’Vigliacchi ve lo siete voluto voi’. Perchè avevamo addosso la ’macchia’ di aver favorito le formazioni partigiane. Era la strategia voluta da Kesselring, capo delle forze armate dell’occupazione tedesca in Italia"

Quindi vi siete tenuti dentro tanto dolore...

"Mio padre prima di morire ha avuto il delirio di fuoco. Gridava: ’Aiuto, brucio’. Anche Licia urlava di notte che non le togliessero Anna. E io ho sempre avuto gli incubi di fuggire".

Secondo lei c’è stata una giustizia storica o giuridica?

"Non saprei davvero. E credo sia già una risposta"

In questi 80 anni è stato fatto abbastanza per tramandare la memoria?

"Troppo tempo si è perso a nascondere. Adesso i superstiti sono pochi e spero che la gioventù non dimentichi le ferite di quel borgo. Ho incontrato i ragazzi delle scuole, molti piangevano mentre parlavo".