Sempre meno ‘forestieri’ si curano in Umbria

Lo evidenziano i dati della mobilità sanitaria: dal 2016 al 2019 la regione ha perso 14milioni di euro. In calo i ricoveri di non residenti .

L’Umbria sta progressivamente perdendo il potere di attrarre pazienti da fuori regione nelle strutture sanitarie pubbliche, ma anche private. In calo ortopedia, oncologia medica, oculistica, riabilitazione, le malattie del sangue, ma sostanzialmente tutte le specializzazioni oscillano in negativo. Negli ultimi tre anni (2016-2019) si è registrata una perdita secca del 16,3 per cento che si è tradotta in meno 13 milioni e mezzo nelle casse della sanità regionale. Dagli 83 milioni e mezzo ‘incassati’ nel 2016 si è passati ai 76,7 dell’anno dopo, fino ai 72.6 del 2018 e ai 69.967 del 2019 e solo per quanto riguarda i ricoveri ordinari e i day-hospital.

Una fetta riguarda anche il privato con una mobilità attiva che pesa per 10.336.843 euro sui bilanci (nel 2016 erano 18.600.561) e quella passiva per 33 milioni e mezzo, in crescita. Il 2020 non potrà necessariamente avere una performance migliore: l’anno del virus inciderà in maniera importante. Il ’saldo’ diventa ancora più critico se ai ricoveri si aggiungono le altre voci: per la specialistica ambulatoriale nel 2019 sono andati altrove 14.509.312 euro, mentre 1.121.425 sono stati spesi per le cure termali oltre confine.

I pazienti ‘in fuga’ invece sono rimasti pressoché stabili passati dai 19.530 del 2016 ai 18.247 del 2019 solo per i ricoveri: sintomo che le regioni limitrofe non sono diventate più aggressive, tranne qualche eccezione. La terra d’elezione per i malati umbri si conferma la Toscana con gli attuali 5.793 ricoveri contro i 7.266 del 2016 mentre un balzo importante in avanti si è registrato in Emilia Romagna dove, valigia in mano, sono sbarcati a curarsi ben 5.793 umbri contro gli ‘appena’ 2.274 di tre anni fa. Stabile la migrazione verso il Bambin Gesù, catalogato a parte. I campi di maggiore migrazione sanitaria restano l’ortopedia, il sistema cardiovascolare e chirurgico, l’oncologia chirurgica, la riabilitazione e lungo degenza, la chirurgia pediatrica. Si va fuori regione anche per curare i disturbi mentali e le cure dermatologiche.

Se sostanzialmente c’è un pari tra mobilità attiva e passiva, almeno sui numeri dei pazienti che dovrebbe essere segnale di equilibrio, dai dati economici in possesso della Regione Umbria emerge un lento e preoccupante declino negli ultimi anni: la situazione è precipitata dal 2013, quando il fatturato della mobilità attiva segnava il passo dei 100 milioni di euro e la passiva gli 89milioni. Sono calati in particolare i malati importati dal Lazio (da 11.562 a 9.907), dalla Calabria (da 718 a 533), dalla Toscana (da 3.508na 2.618). Aumentati leggermente gli ingressi sanitari dalle Marche (sono 2.818 contro i 2.421 degli anni precedenti).

Dall’elaborazione della Fondazione Gimbe si scopre che nel 2017 l’Umbria era al 13esimo posto dopo le regioni con maggiore attrattività che vedono in cima alla lista Lombardia, Emilia, Veneto, Lazio e Toscana, tanto che in quell’anno c’era un ’negativo minimo’. Le cause possono essere ricondotte alla qualità dei servizi, alla presenza di professionisti e alla difficoltà di raggiungere un territorio come l’Umbria, da sempre carente in termini di infrastrutture.

Erika Pontini