Perugia piange Sandro Petrone, volto Rai e docente della Scuola di giornalismo

Il cordoglio per la scomparsa dell'inviato: raccontò Guerra del Golfo e 11 settembre

Sandro Petrone

Sandro Petrone

Perugia, 15 maggio 2020 - È morto Sandro Petrone, «guerriero» del giornalismo, della musica e della vita. Nato a Napoli 66 anni fa, è stato per anni conduttore di punta del Tg2 nonché inviato di guerra della Rai. Oltre ad essere un professionista rigoroso e rispettato, è stato il principale docente della Scuole di giornalismo di Perugia, in cui ha formato intere classi di futuri reporter.

Proprio un ex allievo della Scuola di Perugia, l’attuale segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani, ha dato per primo la notizia, descrivendo un uomo «che ha lottato con la grinta degli inviati di razza». Poco dopo il presidente della Scuola, Antonio Bagnardi, lo ha descritto in un comunicato come «un maestro, un galantuomo, raffinato, sensibile, con la tipica discrezione dei migliori».

A strappare Sandro Petrone alle sue tante passioni è stato un cancro con cui combatteva da anni. Una battaglia che non ha avuto paura di raccontare, come fosse l’ennesimo capitolo di un’esistenza vissuta con coraggio, determinazione, onestà e ironia, sempre nel segno di una devozione quasi ossessiva per il servizio pubblico e per il suo linguaggio.

Guerra del Golfo, 11 settembre, Afghanistan, Kosovo: Petrone ha portato ovunque il suo impegno per un’informazione ordinata, chiara, sintetica e soprattutto televisiva.

«È la regola dell’acqua calda – diceva ai suoi allievi di Perugia,–. La televisione si fa con le immagini. Non è un testo scritto 'sporcato' di colori, ma è un lessico a sé che parte dalle immagini e su di esse costruisce il racconto». In quest’ottica esigente, ogni singolo servizio diventava un piccolo gioiello in cui nulla andava lasciato al caso.

Suoni, interviste, voce del giornalista e stand up (lo spazio in cui l’inviato appare in video) venivano alternati in maniera perfetta, quasi matematica, perché l’attenzione dello spettatore è un bene prezioso che bisogna accompagnare fino all’ultimo secondo.

«Qui sento il bisogno di una voce», diceva in sala di montaggio scandendo il tempo con le dita. Non perché il giornalismo televisivo debba trasformarsi in manierismo, spettacolo, intrattenimento. Tutt’altro: sposare le regole della televisione significa riconoscerle una dignità propria.

Quando l’informazione è fornita bene, ed è piacevole alla vista e all’udito, la funzione di servizio pubblico è rafforzata e arriva più lontano. Un modo di lavorare pignolo che però non era anche tradizionalista o ingessato, perché la curiosità culturale di Petrone lo ha sempre portato a sperimentare, studiare, osare, come negli stand up «creativi» nelle zone di conflitto.

«Cosa cambia per la gente?», chiedeva sempre agli studenti prima di approvare un’idea. Una domanda che racchiude l’idea di giornalismo di Sandro Petrone: un’attività che non si compie per la vanità di chi scrive o di chi chiede attenzione, ma per la collettività. Per questo era severo, imparziale, arrabbiato da sempre con la lottizzazione della Rai e con alcune storture della professione.

Negli ultimi anni, acconto all’insegnamento, si era dedicato alla musica, suo rifugio giovanile, realizzando un paio di album cantautoriali a cui teneva moltissimo: «Solo fumo» e «Last call: note di un inviato». Amava regalarli e chiederne commenti e giudizi. Così come amava sfoggiare le sue origini napoletane, parlare dei figli Cecilia e Lorenzo e scherzare sulle cose della vita. Chi ha conosciuto l’uomo dietro l’autorevole conduttore, ha scoperto una personalità rara. Un animo nomade sempre piantato, però, alle radici di un’assoluta fermezza morale e ideale. Una persona sinceramente interessata al servizio pubblico e alla formazione dei giovani. Soprattutto, un professionista generoso che ha saputo regalare frammenti di sé a tanti giornalisti di oggi e di domani.