
"Quella bambina è tua figlia". La sentenza della Cassazione inchioda noto medico perugino
La Cassazione ha posto la parola fine. Quella bambina è figlia del noto professionista perugino che, con la madre avrebbe avuto una breve relazione extraconiugale, ma che l’uomo non ha mai riconosciuto. I giudici di terzo grado hanno respinto il ricorso del medico, ritenendo il suo reiterato rifiuto di sottoporsi all’esame del Dna senza una ragione valida, un consistente elemento indiziario.
La vicenda giudiziaria è lunga un decennio. La bambina nasce nel 2010, la madre è sposata con un uomo che non è quello con cui convive al momento della sua nascita. La donna sostiene che la piccola sia nata nell’ambito della relazione clandestina con il professionista. Il compagno, che inizialmente riconosce la bambina, disconosce ufficialmente la paternità, con sentenza del tribunale di Roma, nel 2012, quando si sottopone ad alcuni accertamenti medici collegati alla malattia genetica di cui la piccola soffre. Da quel momento, inizia l’iter giudiziario, davanti al tribunale civile di Perugia, per il riconoscimento della bambina e per il conseguente mantenimento. La madre della bambina, come detto, sostiene che la piccola sia il frutto di quella relazione, al di fuori del matrimonio.
In primo grado i giudici danno ragione al professionista, sostenendo che non esistono prove per confermare la relazione tra il medico e la madre naturale della bimba, che la donna abbia nascosto la circostanza di essere stata sposata, oltre che convivente e che dunque il rifiuto di sottoporsi all’esame genetico non era così rilevante, come in giurisprudenza viene considerato. Un particolare, quest’ultimo, che è, invece, al centro della sentenza di segno completamente opposto emessa nell’aprile 2022, dalla Corte d’Appello, che confermava come la bambina fosse figlia legittima del professionista, autorizzava la minore ad aggiungere al proprio cognome quello del padre e condannava quest’ultimo a rimborsare alla madre le spese di mantenimento della bambina per 25mila euro. Da ultimo la decisione della Corte di Cassazione che ha ritenuto inammissibile il ricorso del presunto padre, sottolineando che il disconoscimento della paternità da parte del compagno della madre era legittimo e che la stessa aveva dichiarato nell’atto di nascita come il concepimento fosse estraneo alla relazione. Di conseguenza la presunzione di paternità su cui la difesa del medico aveva posto l’accento non poteva ritenersi valida. Allo stesso modo il rifiuto ingiustificato di sottoporsi all’accertamento genetico, scrivono i giudici, è da ritenersi un "comportamento valutabile dai giudici anche in assenza di prove di rapporti sessuali tra le parti". Il medico era assistito dall’avvocato Filippo Calabrese e Andrea Di Porto. Ad assistere la donna, invece, gli avvocati Angelo Lonero ed Elena de Cesare.