Nel 2022, l’ultimo anno per cui l’Istat fornisce i dati di contabilità territoriale (per quanto ancora provvisori), l’Umbria registra un aumento di produttività in termini reali del 2,9% (Italia 1,9%), riportando il livello a 88,7 (con Italia = 100), per una forbice di 11,3 punti. È la distanza più piccola dell’ultimo decennio: bisogna infatti andare indietro al 2013 per trovare un valore leggermente più alto (88,8). È la buona notizia che rende nota l’Agenzia Umbria Ricerche secondo cui "l’incremento sarebbe derivato da una crescita reale del valore aggiunto – seppure inferiore a quella nazionale – accompagnata da una riduzione degli occupati interni, in controtendenza all’aumento verificatosi in Italia". "È ovviamente ancora presto per affermare che si stia assistendo a un processo consolidato di recupero dei livelli di produttività nella regione – affermano Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia di Aur –. Certo è che siamo entrati in una stagione straordinaria di interventi finanziari finalizzati al rafforzamento della competitività: oltre al Pnrr – che, includendo le grandi opere interregionali mobiliterà oltre 5,5 miliardi di euro – sono stati stanziati i fondi europei e del Fondo per lo sviluppo e la coesione per un altro miliardo. Una mole di risorse mai sperimentata in precedenza, da spendere in un lasso di tempo molto concentrato che, si auspica, dovrebbe portare i suoi frutti. In particolare proprio sul versante della produttività". Aur ricorda però che restano i problemi della dimensione media delle imprese in Umbria è inferiore al dato medio nazionale (3,5 addetti contro 3,9), così come più rarefatta è la presenza delle imprese di grandi dimensioni, alle quali si associano generalmente livelli più elevati di produttività (nella regione solo il 15,5% contro il 23,2% della media italiana). Quanto alla specializzazione, "l’evoluzione della composizione settoriale nell’ultimo quindicennio mostra una crescita, in termini occupazionali, soprattutto dei servizi a minor produttività (ristorazione, assistenza sociale, servizi alla persona) e un alleggerimento delle attività manifatturiere più redditizie, in particolare la produzione di metalli, quella di apparecchiature e la lavorazione di minerali non metalliferi. Ma pesano – concludono – anche una prolungata, insufficiente propensione a investire nel capitale umano e una scarsa attenzione all’organizzazione del lavoro e alla qualità manageriale".
CronacaLa produttività aumenta. Inizia l’effetto Pnrr & c.. Ma restano molti problemi