ERIKA PONTINI
Cronaca

"Io e il potere? Mai raccomandato nessuno Dio mi aiuti ad arrivare in fondo al processo"

Parla per la prima volta l’ex sottosegretario Bocci coinvolto nello scandalo di Concorsopoli. "Una prova durissima, ma non nutro rancori"

di Erika Pontini

Accetta di raccontare e raccontarsi. A due anni dallo scandalo ‘Concorsopoli’ che l’ha portato agli arresti domiciliari per quasi tre mesi, l’imputato Gianpiero Bocci, ex sottosegretario all’Interno, infrange il riserbo che si è imposto a lungo. E parla. Comincia con gli amici rimasti, nonostante tutto. "Sono ancora molti". Ma non si sottrae alla schermaglia processuale, riferendosi alla spaccatura politica con l’ex presidente della Regione, Catiuscia Marini, sua complice nella presunta cricca: "Mi sarei associato con chi mi ha fatto perdere le elezioni, con l’appoggio di Renzi", dice. Bocci vuole resistere: "Lo diceva Hemingway ‘Il mondo spezza tutti, solo alcuni diventano forti nei punti spezzati’. Bisogna accettare ciò che ti accade nella vita e resistere". Sì, ma provando a tenere fede al patto stretto con un amico fraterno, com’è accaduto a lui: "Portare memoria".

Bocci, quanti le sono rimasti accanto in questi mesi?

"Sono state più le note positive che quelle negative. L’amicizia vera e sincera esiste. Tante le testimonianze di affetto da persone con cui avevo un legame. Resta il fatto che in una società liquida, così l’ha definita Bauman, anche i legami affettivi assumono incertezza e fragilità, soprattutto in politica. In un presente frammentato ho scelto di ritirarmi per un po’ per trovare la capacità di riflettere, la parola che ha senso e l’energia necessaria".

E i nemici?

"Nemici? Provo tristezza verso una sola persona. Non di certo compassione per la sua miseria e l’infelicità umana".

Chi è?

"Non è importante".

Sembra che ci sia del rancore, anche personale...

"Nel mio animo non c’è mai stato astio. Il rancore è un sentimento negativo che fa più male a chi lo prova che al destinatario. Preferisco perdonare. Un giorno venne da me Luciano Moretti, persona che mi ha voluto bene e mi ha lasciato un vuoto incolmabile. Mi disse: ‘Perché tu non riesci a coltivare rancore, ad avercela con qualcuno?’ Risposi come ho risposto a lei. Dopo un anno e mezzo Luciano si ammalò e purtroppo da lì a poco ci avrebbe lasciato. Il giorno prima che se ne andasse, in ospedale, sofferente, con un filo di voce mi disse: ’Mi hai convinto. Il rancore no. Mi prometti però che porterai memoria?’. Lo guardai, stavo per dire ‘Non posso prometterlo’. Intanto è passato qualche anno. E faccio fatica anche a portare memoria".

C’è qualcosa che l’ha ferita anche a livello personale?

"Un riferimento offensivo fatto durante l’interrogatorio di un imputato. Voglio ricordare che la notte in cui tornò a Corleone la salma di Toto Riina, ero lì, con le autorità giudiziarie e i vertici delle forze dell’ordine, a confermare che non era il ritorno del padrino quanto, piuttosto, la notte dello Stato".

A volte sembra che le sue parole ne racchiudano altre…

"Ho letto troppe cose infondate senza mai replicare. Spero di poter ristabilire la verità dei fatti. Dopodiché... ".

Dopodiché giudicherà i suoi giudici?

"Sono convinto assertore dell’indipendenza della Magistratura e la considero un potere fondamentale per la qualità democratica del Paese. Nessun ripensamento. Sono considerazioni che maturano nel tempo, sarebbe grave se una vicenda personale mettesse a rischio valutazioni così importanti. Sarebbe una sconfitta per me".

Non sarà la prima volta che si confronta con la giustizia…

"Il mio percorso in politica iniziò con un fatto che mi turbò. Avevo 22 anni e venne arrestato il sindaco del mio paese: persona mite, semplice, che viveva dello stipendio di impiegato postale. Rimasi turbato soprattutto per come avvenne: uno spiegamento di carabinieri per portarlo in carcere. Lo conoscevo bene, non credevo a quelle gravi accuse. La considero tuttora una ferita non rimarginata. Fu assolto in primo grado".

I magistrati sono uomini, come tali possono sbagliare…

"Nel tempo ho avuto due vicende che mi hanno fatto maturare un convincimento: la stragrande maggioranza dei magistrati rappresenta una garanzia democratica. Per questo continuo a difendere il ruolo centrale del potere giudiziario".

Era mai stato inquisito?

"Da giovane sindaco mi fu notificata un’informazione di garanzia per abuso d’ufficio. Mi contestavano un atto di Giunta che assegnava provvisoriamente una casa popolare libera a una famiglia con figli piccoli che doveva abbandonare la sua, danneggiata dal sisma. Il fascicolo lo seguiva il procuratore capo, magistrato di una certa età, elegante e dalle buone maniere. All’interrogatorio, dove mi avvicinai con una dose di timore, trovai un procuratore cortese ed educato, formale ma seriamente impegnato a capire le ragioni della decisione assunta dalla Giunta. Mi sentì rispettato e uscì dall’ufficio rasserenato e con il sorriso. Avevo conosciuto una persona che si era comportata, nei toni e nei modi, con giustizia e moralità e giudicava secondo giustizia. Non ebbi paura".