Giornata mondiale della Terra: "Io, missionario in Amazzonia per aiutare un popolo e il Creato"

Fra’ Paolo vive in Brasile, nella foresta, da 17 anni. Grazie alle donazioni della Fondazione. Assisi Missio e dei lettori di Frate Indovino, realizza con gli indigeni scuole e laboratori artigiani.

Giornata mondiale della Terra: "Io, missionario in Amazzonia per aiutare un popolo e il Creato"

Giornata mondiale della Terra: "Io, missionario in Amazzonia per aiutare un popolo e il Creato"

Fra’ Paolo è piemontese di nascita e missionario per vocazione. Vive in Brasile, nella foresta da 17 anni. La sua oggi, in occasione della Giornata mondiale della Terra, è una testimonianza di "attaccamento al Creato", con tutte le sue creature: la vegetazione, gli animali, la terra, gli uomini e e le donne. L’Alto Solimões, dove vive il frate, è una riserva indigena delimitata chiamata Eware. Per i Ticuna, Eware è un luogo della mitologia della Creazione dove furono creati i popoli e tutte le etnie, un luogo sacro.

Questa è l’Amazzonia, l’enorme estensione di foresta pluviale ricca di biodiversità che si stende su 7 milioni di chilometri quadrati (quasi 20 volte l’Italia) su parte di sette stati del Sud-America (Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela e Guyana). Prende il nome dal Rio delle Amazzoni che la solca da ovest ad est per tutta la sua lunghezza, formando il bacino idrografico più grande del mondo, capace di raccogliere un quinto dell’acqua dolce di tutto il pianeta. In questo ambiente i Missionari Cappuccini dell’Umbria sono presenti da più di cento anni. Ma, come testimonia fra’ Paolo, il loro "lavoro" è molto cambiato nel corso degli ultimi decenni. Dalle prime missioni di evangelizzazione ad oggi, infatti, il quadro è decisamente un altro. "Da qui – racconta il missionario - la situazione è decisamente complicata. Forse per la prima volta nella storia, scienziati, popolazioni indigene e missionari, osservando lo stesso angolo di terra, sono giunti alle stesse conclusioni. Metodi diversi di analisi danno gli stessi risultati. Non abbiamo più tempo, l’Amazzonia è oggi la nostra Arca di Noè. La nostra missione qui è la salvaguardia della foresta e delle sue culture. La nostra priorità – continua - è la formazione dei giovani e dei giovanissimi. Proprio di recente abbiamo inaugurato un’altra scuola. Si tratta di un presidio fondamentale, poiché da lì passa la possibilità di un futuro diverso rispetto a quello che invece è stato il recente passato. Un passato, che è ancora attualità, fatto di disboscamento continuo, caccia e pesca di frodo, marginalizzazione e abbandono delle comunità indigene che soffrono per la mancanza di risorse primarie. Stiamo disperdendo un patrimonio di tutti: culture e biodiversità che lasceranno una desertificazione ambientale e morale". La preoccupazione traspare dalle parole di "frei" Paolo: "Da oltre 10 anni il Governo in maniera sistematica ignora queste popolazioni, c’è un abbandono totale e una totale mancanza di tutela. Sono diffusi fenomeni come alcolismo e degrado. I cambiamenti climatici incidono in maniera sempre più irreversibile sulle vite di queste persone". "Dove siamo, circa il 95% appartiene al gruppo etnico Ticuna che parla la propria lingua madre – prosegue il religioso -. Tra i 72 villaggi che abbiamo visitato via fiume, in canoa, - non essendoci strade -, abbiamo alcuni villaggi di etnie diverse: Cocama, Cambeba e Canamari. Cerchiamo di accompagnare ogni persona in modo personalizzato con la sua cultura e lingua. La grande forza della nostra parrocchia sono gli indigeni. Abbiamo un consiglio pastorale con più di 40 membri tra donne, uomini e anziani, ognuno dei quali collabora e si fa carico del cammino. Oggi abbiamo una Chiesa viva, dal volto amazzonico, comunità vive, catechesi con migliaia di bambini in tutti i villaggi, nella loro lingua e in base alla loro cultura".

Il racconto fa capire la ‘fatica’ fatta per capire questa terra: "Abbiamo impiegato oltre tre anni per conoscere le 72 comunità – dice il missionario -. Abbiamo capito chiaramente che se avessimo voluto assumerci da soli la pastorale sarebbe stato impossibile, l’unica via è la cooperazione. Sono qui da 17 anni, prima si viaggiava o si navigava tranquilli in canoa, adesso bisogna coprirsi come nel deserto, lasciando fuori solo gli occhi, perché il sole brucia. La siccità colpisce soprattutto la vita delle persone. Tutto è più lontano. Acqua, pesce, cibo per trovarli bisogna camminare o navigare per chilometri. Molte comunità diventano inaccessibili – continua fra’ Paolo -, isolate e il lavoro pastorale diventa difficile. Inoltre c’è il problema dell’inquinamento delle città che attraverso il Rio Grande porta in foresta cumuli di plastiche e altro, rendendo inquinato il fiume e il suo bacino. Abbiamo bisogno di protezione. Noi missionari cerchiamo di formare persone consapevoli, la grande sfida è lottare contro la globalizzazione che tutto appiattisce e tutto cancella. Tra le attività, che grazie alle donazioni che riceviamo dalla Fondazione Assisi Missio e dai lettori di Frate Indovino, realizziamo assieme (missionari e indigeni) c’è la costruzione di scuole, e il pagamento degli insegnati, la costruzione di falegnamerie e laboratori artigiani, la promozione di azioni di riforestazione e di agricoltura sociale".