
L’Auditorium San Francesco al Prato di Perugia ospita martedì sera il debutto del tour-tributo “The Köln Concert Variations”
Strano tipo d’artista Keith Jarrett. Si ostina, infatti, a considerare il “Köln Concert” un’opera brutta e ripetitiva facendo spallucce davanti a quei 4 milioni di copie vendute che ne fanno il più popolare album di piano solo della storia del jazz. Un fortunato imprevisto, date le modalità con cui fu registrato, omaggiato per il cinquantennale pure da un documentario, “Lost in Köln” di Vincent Duceau, e da un film, “Köln 75” di Ido Fluk, legati entrambi alla tenacissima figura di Vera Brandes, la promoter tedesca che nel 1975, diciottenne, organizzò l’esibizione tra mille peripezie. Evento storico che martedì prossimo Cesare Picco evoca nell’abside di San Francesco al Prato con “The Köln Concert: 1975-2025”, variazioni su quei 59 minuti e 9 secondi che hanno reso il pianista di Allentown, oggi ottantenne, un semidio. L’unico a rimanersene lontano dalle scene in occasione dell’anniversario è proprio lui, Jarrett, per carattere e per le conseguenze dei due ictus che nel 2018 gli hanno compromesso l’uso della mano sinistra.
Picco, questo suo tour-tributo parte proprio da Perugia.
"Seppur cresciuto a pane, Bach e Jarrett, fino a qualche anno fa mi sarei tirato indietro dall’idea di affrontare questa impresa, ora penso di avere la maturità artistica giusta per mettermi alla prova".
Il “Köln Concert” rimane un mondo a sé.
"Stiamo parlando un’ora di musica totale capace, con i mezzi della grandissima meditazione, di spingersi al di là. Non si può pensare, infatti, di produrre un’ora di musica a quei livelli senza ammettere un meraviglioso stato di coscienza".
A Colonia Keith chiese un Bösendorfer 290 Imperial gran coda, ma si ritrovò un 3/4 di coda con un pedale malfunzionante e nessuna potenza nel registro dei bassi. Una faticaccia convincerlo ad andare in scena.
"Non avrebbe voluto neppure registrare quella serata, ma il suo amico Manfred Eicher, titolare dell’etichetta Ecm, riuscì a convincerlo. Per la mia esibizione ho scelto la stessa marca e lo stesso modello di pianoforte e, siccome quello era uno strumento disastrato, ho chiesto al capotecnico della Bösendorfer di agire su meccanica e martelletti per trasformare la fuoriserie in un’utilitaria".
Alcuni passaggi di quello storico show Jarrett li accennò già nell’estate del ‘74 a Villalago, nella prima delle sue 7 partecipazioni ad Umbria Jazz.
"Quello che riuscì a fare attorno alla metà degli Anni 70 si deve pure ad una ‘sapienza pop’, ovvero all’utilizzo nei suoi concerti i codici della musica popolare per frantumare ogni barriera stilistica. Gli accordi su cui poggia le sue improvvisazioni, infatti, sono gli stessi usati da gente come Hendrix, Dylan o la Mitchell".
Andrea Spinelli