PAOLO PELLEGRINI
Sport

Il Giro d'Italia con la bici elettrica. Non è una scampagnata tra amici / IL RACCONTO

Si corre con bici a pedalata assistita, ma con batteria e motore che hanno autonomia relativa e bloccano il motore ai 25 km/h: quando il gruppo tira ai 40 e oltre o hai gambe e fiato o è un problema

Il gruppo

27 maggio 2021 - Mamma mia. Mamma mia. Il debutto è stato davvero col botto, per questa povera penna a pedali, abbigliata di tutto punto – bello il completino, ricorda le maglie Deceunink Quickstep del 2020, tra bianco e blu che sono anche tra i miei colori favoriti – dal team Enit per questa bella avventura all'insegna della sostenibilità: si corre con bici a pedalata assistita, ora si chiamano e-road perché queste sono vestite esattamente da bici da corsa ma con una batteria e un motore che comunque hanno autonomia relativa, e oltretutto bloccano il motore ai 25 km all'ora, sicché quando la testa del gruppo tira ai 40 e anche oltre o hai gambe e fiato oppure è un problema.

Già, perché mentre cerchi di ripararti dal vento forte e contrario nella pancia del gruppo – dieci squadre perché Rcs, i padroni di casa, hanno diritto a due, fanno sessanta pedalatori, uomini e donne, anche agguerrite – scopri che questa non è una scampagnata tra amici. E allora i tuoi cinquemila chilometri messi su tra strada e rulli da inizio anno alla fine te li friggi, basta un ridossino o uno zampillotto e se non ti sostiene la batteria perché tirano a più di 25 ti ritrovi il cuore in mezzo agli occhi. Non è la scampagnata con gli amici: ci sono punti in palio, prove di regolarità sul filo dei secondi con medie che devi mantenere esatte per diversi chilometri, poi i capitani o i vicecapitani fanno anche lo sprint intermedio, e sono altri punti, ci sono le maglie, c'è in ballo l'onore, il direttore di Enit Giovanni Bastianelli ci tiene assai, non per nulla ha inventato anche la Visit Italy Web Radio per seguire il Giro, questo “elettrico” e quello dei campioni, per promuovere il turismo in tutto il territorio d'Italia – che posti abbiamo visto anche ieri, quando si poteva provare ad alzare gli occhi dalla strada... - e per sostenere la sostenibilità, il gioco di parole è amico e simpatico. A pedali con la batteria si gira bene, non si inquina, si ammira l'Italia.

Se ci riesci. E quando ci riesci, l'Italia che si affaccia sul Giro – perché su quella stessa strada più tardi sarebbero transitati i campioni – ha mille facce, mille colori, mille profumi, mille sapori, mille diverse espressioni, ma un solo cuore,e tanto grande. Ti applaudono, ti incitano dai bordi delle strade, anche se sanno che vai a batteria (sì però... ma l'ho già spiegato, dai), di tutte le età e di tutte le condizioni, bambini e ragazze, giovanotti pedalatori e nonni con le nonne e i nipotini, qualcuno sbuffa perché gli hai chiuso la strada ma poi alla fine un sorriso te lo regala. Ieri si correva da Trento a un posto che ai più è sconosciuto, Sega di Ala, il Passo delle Fittanze che attraverso il Parco della Lessinia mette in comunicazione con il Vicentino a Est e la Valpolicella più a sud. Terre di ottimi vini, come del resto la Vallagarina che abbiamo attraversato, la terra del vino celebrato anche da Mozart nel Don Giovanni, “Versa il vino! Eccellente Marzemino!”, alla cena folle tra il Seduttore e il Convitato di Pietra, Isera ne è appunto la capitale, ed era piena di gente lungo le strade.

Come pieno di gente era il parco nel centro di Trento da dove siamno partiti, al termine di un simpatico show, presentazione delle squadre, concorso canoro tra i team revival del Cantagiro, interviste, foglio di partenza da firmare con mano guantata per norme anti-Covid. E i capitani. E compare il Mito, che d'altra parte è di casa: Francesco Moser, e c'è anche suo nipote Moreno, e c'è Ferrigato, e c'è Ferrari. E c'è naturalmente Max Lelli da Manciano, capitano del team Enit: affiancato a Francesco, pedalano e chiacchierano come se non toccasse a loro mentre tu arranchi per tenere la ruota, anche questa è un'emozione non da poco. Max Lelli finisce anche a terra, una frenata improvvisa nelle prime file del gruppo per poco non provoca il classico cascatone. Lui si rialza subito, ed eccolo di nuovo là davanti a chiacchiera con Moser.

Quarantacinque chilometri a trenta all'ora, compresi i ridossini ammazzagambe, ed eccoci alla via crucis. La salita dei campioni. Mamma mia. I primi schizzano su come lepri, ti chiedi come facciamo, con me c'è un francese, Frédéric, che ha 55 anni ma sgambetta come un ragazzino, arriverà tra i primi. Per la povera penna a pedali invece è un calvario, ti manca solo la croce addosso, la batteria sembra tirare indietro invece che avanti, lo sapevi che era dura ma non ti immaginavi tutti quei chilometri (alla fine sono più di 11) con il computer che segnafisso pendenze a doppia cifra, ma quando tira al 13% ti par di respirare con tutti quei tratti al 15, 16, 18 e anche 20-22 come nel tratto micidiale tra i meno 5 e i meno 3.

Per fortuna accanto c'è Giacomo, meccanico grossetano trentenne, con i suoi consigli e spesso la mano dietro la schiena, fa una fatica bestiale, e qualche spinta l'accetti volentieri anche dai tifosi, che comunque acclamano, e li ringrazi, e sorridi, e trovi il fiato di scambiare qualche battutaccia, senti un “pigia!” tutto toscano che ti fa ridere, beh, non con tutti è così, non lo pigli bene quel “dai nonno dai!”, vola a quel paese ma è la rabbia della consapevolezza. Ma c'è un mondo meraviglioso, incredibile quella maglietta con scritto “positivi al luppolo”, c'è di tutto come sempre quando passa il ciclismo, anche il tuo.E comunque arrivi in cima, anzi l'ultimo chilometro spiana un po' e lo tiri con il padellone, ti pare di volare, anzi con rispetto parlando di sembra di essere risorto. Mentre torni via, e confortato dai sorrisi delle ragazze Enit pensi già agli 87 km di oggi tra Casalpusterlengo e Stradella con 700 metri di dislivello e le due prove a punti sui colle dell'Oltrepò, saprai che anche per Bernal è stato un patibolo. Ma non ti consola.