L’unico regista italiano “baronetto“ Col suo Gesù bello e malinconico

Nell’Italia degli anni di piombo raccontava l’amore e la belleza del creato

di Giovanni Bogani

Cento anni fa, il 12 febbraio 1923, nasceva Franco Zeffirelli: nato fuori dal matrimonio, dalla relazione fra un fascinoso commerciante di stoffe e una donna fiorentina. Il cognome se lo inventò la madre: Zeffirelli, che evocava gli "zeffiretti", i venti nominati nell’ "Idomeneo" di Mozart. Un cognome che evocava già l’arte, la grazia luminosa di Mozart, la lirica. Quello che poi fu il suo mondo. Il mondo di un regista, di uno scenografo, di un costumista: di un inventore di forme teatrali e cinematografiche unico al mondo.

Non era facile, per i ragazzi cresciuti negli anni ’70, accostarsi al cinema di Franco Zeffirelli. In Italia la politica sembrava dominare tutto: c’era tensione nelle strade, c’erano gli scioperi selvaggi, i cantautori, gli anni di piombo, il rapimento di Aldo Moro, il terrorismo. Il cinema di Franco Zeffirelli sembrava vivere in un altro mondo: raccontava San Francesco in "Fratello Sole, sorella Luna". O, in televisione, portava il suo "Gesù di Nazareth" luminoso, con il suo Cristo bello e malinconico, con gli occhi chiarissimi di Robert Powell. Non fare alcun male. Solo esprimere la bellezza, e l’amore per il creato, con il suo cinema. In fondo è ciò che ha fatto sempre Zeffirelli. L’unico regista italiano a essere nominato baronetto, grazie al suo lavoro sulle opere di Shakespeare. Uno dei pochi artisti italiani capaci di esprimersi in un inglese fluente, disinvolto, ricco. Candidato due volte all’Oscar. La prima volta, come regista, per il suo "Romeo e Giulietta": con quella intuizione geniale, il pensiero che i due eroi della tragedia di Shakespeare fossero due ragazzini, due adolescenti, e che per questo il loro dramma fosse ancora più straziante. Scritturò due sconosciuti, Leonard Whiting e Olivia Hussey, e vide giusto. Riuscendo a catturare, nel pubblico, milioni di giovani che di Shakespeare non avevano mai sentito parlare.

Innumerevoli i premi che ha vinto, fra cui un Golden Globe alla carriera, un Bafta (l’Oscar britannico), cinque David di Donatello, tre Nastri d’argento.

Fu amico di Maria Callas, allievo e complice di Luchino Visconti, amico di Anna Magnani e di Tennessee Williams, adorato da dame Judi Dench, che molto prima di essere "M" in 007 è stata una Giulietta sul palcoscenico per lui, nel 1960.

Ma Zeffirelli, il più internazionale dei registi italiani, è stato anche il più fiorentino. Quando l’acqua e il fango mangiarono viva la città di Firenze, il 4 novembre 1966, si precipitò a Firenze. E girò un film grigio come quel fango, con la voce di Richard Burton che, in italiano, raccontava la tragedia. Una grande manifestazione di amore: che fece conoscere il dramma della città al mondo intero. Anche grazie al suo film, si moltiplicarono gli "angeli del fango", venuti da tutto il mondo a salvare la città del Fiore, i suoi tesori, la sua cultura e la sua arte. Avrebbe voluto dedicare a Firenze un film che non è mai riuscito a portare a compimento, "The Florentines". Voleva raccontare il Rinascimento, quegli anni che raccoglievano all’ombra del Duomo talenti incredibili. E in fondo, lui era l’erede di quel modo di creare, di vedere la natura, di rappresentare la figura umana.