FORNO (Massa)
Era ancora buio quel martedì 13 giugno del 1944 quando i soldati tedeschi della Festungs Brigadestab, guidati dal colonnello Kurt Almers, unitamente a un plotone della Marina (in tutto circa 200 uomini), entrarono in paese da Massa, lungo il fiume. Nello stesso momento un battaglione di fascisti della X Mas, comandato dal tenente Umberto Bertozzi di Parma, almeno un centinaio, fecero altrettanto ma arrivando dai monti, scendendo dal Vergheto. Siamo a Forno, ai piedi delle Apuane dove nasce il Frigido, e in pratica siamo all’inizio dell’estate più tragica della storia della provincia, un’estate di violenza e di sangue. Quel giorno a Forno furono uccise 68 persone. Poi arrivarono altre 12 stragi commesse dai nazifascisti e il tributo di sangue è di quasi 850 vittime, compresi anziani, donne e bambini. Il 2 luglio a Bagnone (9 morti), il 27 ad Aulla (6), il 19 agosto a Bardine-San Terenzo Monti (53) e a Valla (107), tra il 21 e il 24 agosto a Castelpoggio (11), il 24 a Guadine (13), il 24 e 25 agosto a Vinca (174) e zone vicine (40), il 10 settembre a Massa (40), il 13 e 14 settembre a Tenerano (11), il 16 alle Fosse del Frigido (174) e a Bergiola Foscalina (73). Senza dimenticare il precedente di Mommio (3 maggio) con 22 morti.
Quella di Forno è una storia particolare, una pagina unica nella lotta di Liberazione, con alcuni aspetti ancora poco chiari. Accadde infatti che 4 giorni prima della strage, venerdì 9 giugno, i partigiani della formazione ’Mulargia’, sotto il comando di Marcello ’Tito’ Garosi, scesero in paese e lo ’conquistarono’, senza un solo colpo di fucile, proclamando la ’Repubblica libera di Forno’. Del resto non c’erano né tedeschi né fascisti ma soltanto alcuni carabinieri comandati dal maresciallo Ciro Siciliano. Difficile dire quanti erano i partigiani: c’è chi parla di centinaia, di sicuro più di 50. I pochi carabinieri si ’arresero’ subito. In quei giorni Forno era ben diverso da oggi, basta pensare che ci vivevano oltre 4mila persone, tra nativi, sfollati, disertori e forse anche spie.
L’accoglienza ai partigiani fu buona, ma gli abitanti avevano paura. I partigiani di ’Tito’ dissero che l’azione era stata decisa nell’attesa di un imminente sbarco degli alleati a Marina di Massa (il 4 giugno era stata liberata Roma). Sbarco che non ci fu mai. L’azione dei partigiani divise il Comitato di liberazione nazionale (Cnl): qualcuno fece pressione perchè abbandonassero Forno, furono anche inviati emissari di varie parti politiche e ci fu una riunione. Il risultato fu che il grosso dei partigiani lasciò effettivamente il paese il 12 giugno, ma altri rimasero a Forno. Forse perchè il 13 era festa grande per il patrono Sant’Antonio. Qualche paesano infatti era tornato apposta. Invece fu una strage.
Tedeschi e fascisti ebbero subito la meglio sui partigiani rimasti, poi rastrellarono il paese portando la popolazione lungo la via del Camposanto. Al termine di quella giornata 51 civili furono avviati nei campi di concentramento in Germania e si contarono come detto 68 morti: 56 (tutti giovani) furono fucilati lungo il fiume, dove c’è la chiesetta di Sant’Anna (nessuno in paese se ne accorse), 2 furono trovati morti nella caserma dei carabinieri che venne incendiata insieme a una decina di abitazioni, 10 morirono durante gli scontri e nel corso del rastrellamento, fra cui lo stesso ’Tito’, trovato morto in località Pizzo Acuto, forse suicidatosi dopo essere rimasto ferito per non cadere in mano nemica. Gli abitanti scoprirono la strage, per caso, solo il giorno dopo.
Luca Cecconi