
di Simona Sassetti
"Il Covid ha tolto tanto, ma non ha cancellato la violenza sulle donne". Lo dice con la solita determinazione che la caratterizza, mentre lavora senza sosta insieme alla squadra del Codice Rosa. Vittoria Doretti è reperibile dal primo di marzo 24 ore al giorno e lo ricorda subito durante l’intervista.
"Non ci siamo mai fermati – afferma - . E’ un periodo di grande pressione". Il motivo è uno, ed è anche scontato ricordarlo oggi, ovvero che molte donne in questo periodo si sono ritrovate a trascorrere molto più tempo dentro casa e non sempre la casa è sinonimo di tranquillità. "Ma la rete Codice Rosa c’è e c’è sempre stata – afferma Doretti - , non ha mai smesso di funzionare ed il merito va alla perfetta sinergia con i centri antiviolenza sul territorio, i servizi sociali e gli operatori ai nostri pronto soccorso, nessuno deve sentirli solo. Questo è il messaggio che voglio far arrivare in questo giorno, ovvero che chi subisce una violenza deve sentirsi libero e sicuro di affidarsi a professionisti pronti e preparati che curano ogni fase del processo di cura e della catena di tutela, in modo ancora più accurato in emergenza sanitaria". Un messaggio che si riassume in tre parole: "Non sei sola".
Che giorno è il 25 novembre per Vittoria Doretti?
"Un giorno di grande impegno e riflessione, sebbene queste siano quotidiane. Non è un giorno da celebrare ma da rafforzare. Questa almeno è la risposta come responsabile della rete regionale del Codice Rosa, mentre per Vittoria questa è una giornata caratterizzata da un ricordo specifico, una delle mie ultime missioni".
Cosa è accaduto?
"Non lo racconto spesso, anzi credo sia la prima volta che ne parlo. Ero in Repubblica Dominicana e lì mi hanno accompagnato nella casa dove ancora viveva la quarta sorella Mirabal. Nel loro giardino ho vissuto una sospensione emotiva, ed è stato scioccante ritornare nella capitale e incontrare uomini italiani che erano li per turismo sessuale. Immagini che non riesco a togliermi dalla testa".
Per chi non lo sapesse le tre sorelle Mirabal sono state violentate e torturate dagli uomini del dittatore Trujillo, il 25 novembre 1960. Lei si porta ancora dietro quel ricordo?
"Si, chi mi conosce lo sa bene. E’ stata un’esperienza che mi ha segnata, anche per le scelte fatte subito dopo. Ma in realtà ha condizionato tutte coloro che erano con me".
Serve fare ancora tanto...
"Ci dobbiamo impegnare ancora molto, non basta far emergere situazioni complesse in pronto soccorso, serve seguire il dopo. Le donne che escono dalla violenza devono essere supportate".
Che periodo è stato questo per molte donne che con la pandemia si sono sentite doppiamente sole?
"Proprio così, la parola chiave è la solitudine, la grande alleata della violenza. Nelle prime settimane sono sparite le donne dai pronto soccorso, dai centri antiviolenza. ’State a casa’ si diceva, e per molte di loro la casa era tutto fuorché fonte di sicurezza. Immediatamente però c’è stata una campagna forte per far capire loro che il Codice rosa c’era. Non erano sole. Infatti, dopo poco hanno ripreso a chiamare e noi eravamo lì. Abbiamo morso ferocemente quella parola chiave, la solitudine".