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La ‘rivoluzione’ di San Gimignano

Centro stravolto negli anni: via i vecchi mestieri e gli artigiani per lasciare spazio alle nuove attività

La ‘rivoluzione’ di San Gimignano

C’era una volta la San Gimignano che non c’è più. Se qualcuno dopo 60 o 70 anni ritornasse sulle lastre di via di’ Mezzo penserebbe di aver sbagliato paese. Tanto per cominciare dei 10 calzolai più nessuno, dei sette barbieri resiste, per ora e meno male, Ivo Pintucci il popolare ‘Tripoli’. Nella bottega del ferro battuto di Giacco in San Matteo c’è il gioielliere; dal calzolaio ai profumi, dallo stagnino Olinto alla cioccolata a fiumi. Di fabbri, falegnami, meccanici di biciclette e l’orologiaio neppure l’ombra. I cinque vecchi forni a legna sono tutti spenti. Nella Banca Toscana la galleria internazionale d’arte; dal barbiere ‘Parrino’ la tessitura artigianale, nel vecchio forno del Vettori detto la ‘Rocca’ in via Quercecchio con la facciata ancora nero fumo lo studio della dentistica Paola; nella storica officina di Tono d’Olinto" e di Berto e Menotti in Berignano il ristorante Feudo, nella cartolibreria culturale Dino Dei le ‘finte’ balestre medievali eccetera. In bottega di ‘Ceciliaì dallo spillo ai bottoni la Misericordia e primo pronto soccorso del 118; nel gran-bazar di ‘Parrucca’ in piazza della Cisterna il gelataio, dallo storico garage del Gamberucci il cinese il vinaio con i panini e via via dicendo. Si potrebbe seguitare all’infinito. Insomma la vecchia Sangi si identifica dal tabaccaio alla farmacia, gli alberghi e ristoranti e con le nuove vetrine di buona ceramica, salumi di casa nostra, vino, scarpe, vestiti per bambini e qualche buon negozio firmato di qualità.

E’ stata insomma una specie di rivoluzione economica-culturale a trazione turistica dovuta sia dallo spopolamento di famiglie dal centro storico, e sia per la ferrea legge del mercato ad uso e consumo turistico nel centro storico di San Gimignano.

Romano Francardelli