
Stefano Bartolini, docente di Economia della felicità all’Università degli studi di Siena, analizza il recente rapporto sulla felicità stilata come ogni anno da studiosi di tutto il mondo
C’è una stretta correlazione fra populismo e infelicità; e la spinta populista attuale nello scenario politico mondiale potrebbe essere il riflesso dell’infelicità delle fasce popolari a basso reddito che da ogni parte protestano. E’ una lettura del World happiness report, il rapporto mondiale sulla felicità, con classifica per Paese, stilata ogni anno da studiosi di economia di tutto il mondo, che poggia sulle risposte della gente sul grado di felicità o meno. "La Finlandia è anche quest’anno, come già l’anno scorso, il Paese più felice. Il ranking 2025 conferma i Paesi del Nord Europa ad altissimi livelli", rivela il professor Stefano Bartolini, docente di Economia della felicità all’Università di Siena, corso di Economia ma trasversale a tutte le discipline.
Professore, cosa fa la felicità di un Paese?
"Premesso che ogni anno il ranking è declinato su un tema trainante e quest’anno è ’la cura degli altri’, sono tanti i fattori che concorrono al ‘sentimento’ della felicità, ma fra i tanti determinante è la qualità delle relazioni fra le persone. Le persone più infelici sono quelle sole, ovvero la povertà di relazioni è motivo di infelicità. Poi impatto notevole ha la precarietà del lavoro. Tutto ruota attorno all’economia del Paese".
Quali sono i Paesi più felici?
"Tutti quelli Nord europei hanno punteggi alti di felicità: sono Paesi dove c’è lavoro, poca precarietà. E il welfare funziona, assiste".
Gli Stati Uniti?
"Sono 24esimi, ma vanno malissimo. Gli studi sulla felicità rivelano che nei Paesi industrializzati c’è un grande problema: il dilagare di ansia e depressione. Anche in Italia, dove l’ansia è in costante aumento anche fra i giovani. Quello che colpisce è che nei Paesi industrializzati è scomparsa la povertà di massa, sono garantite istruzione e sanità, ma dilaga la depressione. E gli Stati Uniti su questo versante vanno peggio di tutti, anche dell’Europa: negli Usa la tendenza da decenni è quella di un’infelicità diffusa, felicità in costante calo ed esplosione invece delle malattie mentali".
L’Italia?
"Non andiamo bene, siamo al 41esimo posto, in discesa di 10 rispetto all’anno scorso: anche da noi la felicità della fascia a basso reddito della popolazione è in costante diminuzione, con la gente estremamente insoddisfatta della propria vita. E questo ha un riflesso sulla politica: la classe popolare, lavoratrice insoddisfatta, una volta votava a sinistra, ora per protesta vota a destra. Nel report sulla felicità c’è un capitolo su populismo e povertà: in tutto il mondo la forte spinta di estrema destra populista viene dalle fasce sociali a basso reddito, quelle più infelici. In questo spaccato sociale si legge anche l’elezione di Trump".
La felicità va di pari passo con la ricchezza?
"Non del tutto. Sorprendente è che tra i Paesi ad alto livello di felicità ci sono anche Stati poveri, come quelli sudamericani. Dove però ci sono legami sociali, familiari e affettivi molto forti, c’è una solidità sociale. Di contro in Paesi ricchi e industrializzati la solitudine è fenomeno di massa e l’infelicità è il sentimento diffuso".
Il resto del mondo? L’estremo oriente?
"Non ci sono Paesi particolarmente felici. In Giappone e Corea ad esempio prevale la solitudine. E qui si torna a quelle relazioni sociali che valgono più della ricchezza economica, in termini di felicità. Punteggi bassi di felicità hanno anche i Paesi dell’Europa dell’Est e la Russia. Tornando al tema del Rapporto mondiale 2025, emerge che chi si prende cura degli altri è più felice di chi non lo fa. Il ruolo sociale appaga, così come le relazioni sociali sconfiggono la solitudine".
Paola Tomassoni