CARLO MARRONI
Cronaca

I cimeli di Bartali in chiesa Custoditi a Santa Petronilla

In tre teche le maglie dei trionfi al Tour del 1938 e 1948 e una tricolore. Il campione le regalò al parroco don Bruno Franci, suo grande amico

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di Carlo Marroni

Le maglie più famose del ciclismo italiano sono sotto vetro. Non in un museo nazionale o in una galleria di trofei, ma dentro una chiesa. E lui, il campione, ne sarebbe fiero. Gino Bartali ha vinto due Tour de France, nel 1938 e nel 1948. E le due maglie gialle - insieme ad una tricolore della vittoria del campionato italiano del 1952 - sono da sempre esposte sotto vetro in una cappella della Chiesa di Santa Petronilla, la parrocchia in Viale Cavour a Siena. Il cattolicissimo ’Ginettaccio’ è stato dichiarato ‘Giusto tra le Nazioni’ per aver salvato quasi mille ebrei - insieme al rabbino di Firenze Nathan Cassuto e al cardinale Elia Dalla Costa - ma con la vittoria del giro di Francia del 1948 fu detto, a torto o a ragione, che contribuì a salvare l’Italia da una nuova guerra civile.

Erano infatti passati appena undici giorni dall’attentato a Palmiro Togliatti e il paese era attraversato da scontri violentissimi che avevano causato decine di morti e centinaia di feriti. Il 25 luglio Gino entrò vittorioso a Parigi con la maglia numero 31, che regalò poco dopo al parroco di Santa Petronilla, don Bruno Franci, suo grande amico, perchè la mettesse accanto all’altra maglia, dalla storia molto più travagliata. Bartali era fiorentino di Ponte a Ema, ma a Siena aveva un gran numero di sostenitori, che si radunavano per leggere le notizie sulle imprese sportive di Gino che venivano esposte nei ritrovi cittadini. E così dalla colonne della Nazione appresero che il loro beniamino aveva vinto il tour del 1938 in mezzo "all’entusiasmo e le grida di saluto delle moltitudini". Risale ad allora il legame fortissimo con Siena, quando Bartali volle sciogliere un voto fatto in Francia durante la gara, quando aveva promesso che avrebbe donato alla chiesa retta dall’amico don Bruno una statua lignea di Santa Teresa del Bambino Gesù. Nel 1939 portò la statua nella Chiesa, e gli ultimi tre chilometri prima di arrivare l’auto fu preceduta da un corteo di centinaia di ciclisti. Ma arrivò la guerra e poi l’armistizio. Nei giorni 1 e 2 luglio 1944 a Siena stava passando il fronte (la liberazione fu il 3 luglio) e gli americani bombardano e cannoneggiarono la zona nord della città appena fuori la porta Camollia, e precisamente la centrale elettrica, che si trovava proprio accanto alla chiesa, che andò in buona parte distrutta insieme alla canonica. E fu don Bruno, poi morto negli anni ‘70, che scavando tra le macerie tirò fuori la maglietta con un numero 13, tutta piena di strappi e buchi. Esattamente come la si può guardare oggi. Erano i giorni in cui Ginettaccio portava a compimento la sua opera di Giusto, iniziata nel settembre precedente.