REDAZIONE SIENA

’Bambini con l’etichetta’, affari sull’infanzia

Il neuropsichiatra infantile Michele Zappella presenterà il libro con l’assessore Benini. "La società dei consumi è poco tollerante"

Una nuova forma di emarginazione, dovuta a diagnosi di disabilità che si trasformano in etichette, e che a volte fanno più male del presunto problema cui fanno riferimento. Ne parla Michele Zappella, uno dei più autorevoli neuropsichiatri infantili italiani, primario del reparto di Neuropsichiatria infantile a Siena dal 1973 al 2006, nel libro ‘Bambini con l’etichetta’, che sabato 29 maggio presenterà, accompagnato dall’assessore Paolo Benini, al Giardino segreto del Tribunale civile, alle 17.30.

Dislessia, autismo, discalculia, iperattività, disturbi sempre più diffusi e, secondo l’esperto, diagnosticati a volte con troppa leggerezza, confusi con comuni ritardi di apprendimento, dovuti magari a un momento di difficoltà che potrebbe essere superato senza traumi e che, invece, si trasforma in un marchio indelebile. Perché? "La società dei consumi – spiega lo psichiatra – è poco tollerante con chi non rispetta le sue richieste e i suoi modelli. Basta guardare i numeri. Se prima la prevalenza di disturbi come l’autismo era di quattro su diecimila, oggi siamo a duecentosettanta su diecimila. Tra dieci anni potrebbe essere il doppio. E la conseguenza di questo incremento è ovviamente un gigantesco business".

Il tutto a spese delle famiglie, in termini economici ma soprattutto emotivi. "La diagnosi di autismo – spiega Zappella – ha un effetto drammatico sui genitori ed è accompagnata da proposte di terapie che hanno costi elevati. Quattro madri su cinque vanno in depressione, dopo una diagnosi di questo tipo. E a scuola il bambino si trova emarginato". La diagnosi è difficile. Difficoltà di relazione, nell’organizzazione del linguaggio, una scarsa empatia. Una persona affetta da autismo non riesce a capire cosa pensano gli altri. Ma i confini sono labili. "Molte altre difficoltà si presentano con sintomi simili – afferma lo specialista – persino transitorie timidezze. Se prendiamo per esempio cinque bambini con ritardo di lettura, in realtà uno solo di quei cinque, secondo un recente studio francese, è realmente dislessico. Il resto sono questioni ambientali, la famiglia prima di tutto, insegnamenti sbagliati, la scuola".

Ma per le famiglie è difficile orientarsi criticamente, di fronte a una diagnosi. Così, quello che può essere un periodo difficile rischia di trasformarsi in patologia. In etichetta. E un periodo difficile è sicuramente quello che i bambini stanno attraversando adesso. Un disagio sicuramente più silenzioso di tanti altri, ma molto più profondo. "In questo periodo – spiega lo psichiatra – i bambini sono quelli che si sono trovati peggio. Scontano le difficoltà della scuola ad adattarsi ai cambiamenti. Già nei paesi del Nord Europa, per esempio, ogni tre quarti d’ora di lezione c’è un quarto d’ora di attività fisica collettiva. È scientificamente appurato che se attivi un bambino sul piano motorio in modo gioioso poi quando si rimette a lavorare sta meglio. Ma mentre altrove anche con la didattica a distanza si sono fatte attività collettive, i nostri ragazzi sono rimasti fermi sei ore davanti al computer da soli. E un ragazzo su quattro delle superiori non comprende il significato di un testo".

Riccardo Bruni