CHIARA TENCA
Cronaca

Matricola universitaria nella Firenze ferita "In quella via sembrava di essere in guerra"

I ricordi di studentessa con casa affacciata sui Georgofili: "Non conoscevo Dario ma sono sicura che i suoi sogni e i miei erano simili"

di Chiara Tenca

Le due cose che non riesco a togliermi dalla testa sono quel caminetto verde brillante e la polvere. Una polvere infinita, quasi onnipresente. Il primo era nel mio appartamentino di matricola universitaria, un delizioso bilocale con soppalco nuovo di zecca e aveva una particolarità: era l’unico elemento sopravvissuto, seppur con qualche danno, alla bomba che aveva sventrato la stradina su cui si affacciava. Via dei Georgofili. Al civico 3 ho vissuto fra il 1996 ed il 1997 il mio primo anno di studentessa fuori sede all’Università di Firenze e confesso che, nell’emozione di avvicinarmi alla prima esperienza da adulta della mia vita, la prospettiva di andare ad abitare dove erano morte cinque persone mi aveva lasciata interdetta. Poi, visto quel gioiellino a un passo dagli Uffizi, mi ero convinta, ma la sensazione che provavo appena scendevo in strada o guardavo giù dal mio finestrone strideva con la gioia di un periodo unico: sembrava di essere in guerra.

Un rumore onnipresente saliva da quel bellissimo budello fiorentino, riaperto per pochi metri e completamente occluso nella parte che sfociava sul lungarno sovrastata dal Corridoio Vasariano: era quello dei cantieri, che lavoravano febbrilmente per tappare le voragini e restaurare i danni di distruzione e shock. Via Lambertesca, che con i suoi pochi metri collegava via dei Georgofili al portico del museo, non faceva eccezione, a partire dal portale della Magona. Eccola lì la polvere. Ricopriva ogni centimetro che calpestavo, sputata fuori da angoli, portoni, impalcature. Mi si appiccicava sotto le scarpe, era sempre con me, testimone di tragedia, ma anche di una Firenze ferita che rialzava la testa e scacciava la piovra. Quella mafia che con i suoi tentacoli al veleno era riuscita a sfregiare anche la culla del Rinascimento e del bello e a violare ancora una volta la vita umana.

Erano stati in cinque ad aver perso la vita quella notte maledetta, in cui – mi raccontavano gli universitari più grandi – l’esplosione era stata talmente forte da aver fatto saltare i vetri a centinaia di metri di distanza. L’intera famiglia Nencioni, che viveva nell’Accademia dei Georgofili, e Dario Capolicchio: spazzati via nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, comprese Nadia, 9 anni, e Caterina, appena nata. Me lo ricordava la scritta rossa di una delle lapidi sulla Torre dei Pulci, uno dei primi edifici restaurati insieme a quello che ospitava la mia casa, al cui angolo era stato riaperto da poco il ristorante Antico Fattore. L’avevano ricostruita lasciando evidenziati i segni della ferita, per testimoniare questa storia. Ancora non c’era il piccolo ulivo, né la scultura l’Albero della Pace del maestro Roggi, ennesimo abbraccio del Giglio alle sue vittime.

Ma come si fa a uccidere così delle persone? Avevo fame di vita, di sapere e di divertimento, ma non potevo non chiedermelo, assistendo ogni giorno a tutto questo. E poi, Dario. Studente come me, di Sarzana, vicino alla mia città. Sono sicura che i suoi sogni ed i miei erano simili, così come le nostre giornate. Dario avrebbe potuto esser mio amico, anzi, avrei potuto essere io se fossi nata qualche anno prima. Le famose sliding doors. Non ci siamo mai conosciuti, ma l’ho sempre pensato perché la differenza fra la felicità del mio periodo universitario e la sua morte si chiama mafia. Sì, quella che Peppino Impastato ha definito "una montagna di merda". E come dargli torto. Via dei Georgofili l’hanno riaperta poco prima della mia laurea. E ieri, finalmente, è stato fatto un importante passo verso la giustizia. No, non penso che quell’individuo feroce meriti neanche di esser nominato. Spero, però, che il sonno di Dario e dei Nencioni ora possa esser più lieve.