L’uomo con due facce. Il Pulitzer Thanh Nguyen racconta la felicità possibile

A quattro anni, con la famiglia sbarcò da rifugiato in California e fu separato dai genitori "I ricordi dei traumi vissuti mi hanno fornito il materiale emotivo che mi ha reso scrittore".

L’uomo con due facce. Il Pulitzer  Thanh Nguyen racconta la felicità possibile

A quattro anni, con la famiglia sbarcò da rifugiato in California e fu separato dai genitori "I ricordi dei traumi vissuti mi hanno fornito il materiale emotivo che mi ha reso scrittore".

Io sono l’uomo con due facce. Non è solo il titolo dell’ultimo libro di Viet Thanh Nguyen. È la sua storia. Le due facce sono le sue. Esprimono un’ambiguità che lo accompagna da quando, all’età di quattro anni, sbarcò da rifugiato con la famiglia nel Sud della California e fu separato dai genitori. Premio Pulitzer per la narrativa nel 2016, insegnante di English and American Studies and Ethnicity alla University of Southern California, Nguyen si sente ancora oggi uno straniero. Lo ha raccontato ieri al Festival della mente. Senza veli, dialogando con la giornalista e scrittrice Francesca Mannocchi. Tanti i temi toccati. A cominciare dalla felicità che, secondo Nguyen, non è uguale per tutti. "Tolstoj diceva: tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Dissento. Penso piuttosto che ci sia una felicità semplice e una più complessa, che va guadagnata. Nella nostra società non facciamo questa fatica e ci accontentiamo della felicità più semplice. Da scrittore ho raccontato il viaggio dei miei genitori verso questa felicità più complessa ma duratura. Mia madre non c’è più, ma mio padre, benché novantenne e non sempre lucido, è felice".

Memoria, storia, ricordo. Sono le parole del sottotitolo del libro su cui Mannocchi ha portato l’attenzione per chiedere quale rapporto abbia lo scrittore con questi concetti. "Può apparire strano ma sono grato alla mia esperienza di rifugiato. I ricordi dei traumi che ho vissuto mi hanno fornito il materiale emotivo che mi ha permesso di diventare scrittore. Ho sempre ricordato quegli episodi di bambino, ma non li percepivo come qualcosa che potessero recare danno. È iniziando a scrivere che ho dovuto rivisitarli e affrontarli per quello che sono". Ma il suo libro, ha ricordato Mannocchi, è anche politico e divertente. "Quando ci rendiamo conto delle contraddizioni della società ci accorgiamo anche di quanto siano assurde. E l’assurdo suscita l’umorismo. Il segreto non-segreto dell’America è che non chiamano il colonialismo con il suo nome. Lo chiamano sogno americano. Credevo nel sogno americano. Ma poi ho capito che era un’ideologia inventata per mascherare le nefandezze compiute in altri paesi. Ridicolizzare la politica serve per sopportarla, per tollerare le sue bugie e la sua ipocrisia".

Le due facce, l’ambiguità dell’identità ritornano quando Mannocchi ricorda l’aneddoto di Nguyen che, decenne, guardando il capolavoro di Coppola Apocalipse now, non sapeva decidere se tenere per gli americani o per i vietnamiti. Lapidario il suo commento: "È un’esperienza piuttosto comune trovarsi di fronte a un best seller, film o libro che sia, e rendersi conto che non è stato fatto per te ma per annichilirti. Per non farti mai sentire nel tuo posto in nessun posto".

Alina Lombardo