Bobo Vieri, la famiglia e la sua Prato nell'autobiografia

Nel suo libro appena edito da Rizzoli aneddoti e ricordi di una vita super

Christian "Bobo" Vieri (LaPresse)

Christian "Bobo" Vieri (LaPresse)

Prato, 25 novembre 2015 - "Chiamatemi bomber", oppure chiamatelo Bobo. Fa lo stesso, perché in questo caso sono sinonimi visto che si parla di Christian Vieri. "Chiamatemi bomber", in questo caso, è il titolo del libro scritto con il giornalista della Gazzetta, Mirko Graziano, edito da Rizzoli e nelle librerie da venerdì scorso. Un’autobiografia dove c’è tanta Prato, dalle origini ai giorni nostri.

Vieri a cuore aperto, con il marchio di famiglia: la schiettezza. Non è un libro molto lungo, perché quello che c’è da dire in casa Vieri lo si dice con il minor numero di parole possibile. Secche, chiare, concise. Però, tra le righe, vi si trova un Bobo segreto, un ragazzo e poi un uomo dalla vita pazzesca, che poteva diventare uno dei tanti immigrati italiani in Australia e che invece, per un mix di scelte coraggiose e destino, è diventato uno degli attaccanti più forti del suo tempo. Con un forte legame con la sua città e la sua famiglia.

Prato, dunque. A partire dalle primissime pagine, quando Christian ricorda che per lui «casa» erano Sidney e l’Australia, perché i suoi genitori ce lo avevano portato all’età di 4 anni, quando il padre Bob andò a giocare nel Marconi Football Club in un periodo in cui i giocatori italiani all’estero erano una rarità assoluta. A 14 anni è già forte e insieme a lui in squadra c’è Paul Okon, poi, anni dopo, giocatore della Lazio. «Alla fine della stagione – racconta Vieri nel libro – io e Paul partiamo per l’Italia, ci hanno organizzato dei provini. Ci stabiliamo a Prato da zia Bianca, sorella di papà, zio Egidio e da mio cugino Dimitri. Nella stessa casa vive anche il nonno e ci arrangiamo nella sua stanza: io e Paul dormiamo in un letto a castello, io sopra e lui sotto». Il primo contatto con la città che poi sarebbe diventata sua, quella alla quale fanno comunque capo quei giramondo dei Vieri. Ma nonno Enzo ci mette lo zampino: «Il nonno ha convinto quelli del Prato – ricorda – a farci allenare con loro. Per i primi tempi speriamo nel tesseramento, ma il Prato fa soltanto promesse e non le mantiene. Paul va in Belgio, io invece resto con il nonno in attesa di qualche proposta». Ed ecco l’incontro con Rodolfo Becheri: «Un giorno arriva il presidente del Santa Lucia ed è il suocero dell’allenatore e tra l’altro è il nonno di un bambinetto che si chiama Alino Diamanti... “Perché non lo porti da noi? Qui fa la muffa”. Parole sante, signor Becheri.

tre generazioni di calciatori: insieme al nonno Enzo, al fratello Massimiliano e al babbo Roberto in una foto tratta dal libro «Chiamatemi bomber», edito da Rizzoli

Al Santa Lucia Christian può giocare e nonno Enzo lo incentiva con la promessa: 5mila lire per ogni gol segnato. Ne fa quattro solo alla prima partita: «Ventimila lire, nonno, thank you very much». Segna così tanto che Enzo abbassa il premio a mille lire...

Poi Vieri ricorda come la nostalgia prese il sopravvento e lo indusse a tornare in Australia. Giorni di pianti e tristezza, fino al giorno in cui capì di aver sprecato un’occasione. Ma come tornare in Italia? Ci pensa ancora lui, Becheri. Ma nonno Enzo lo mette in guardia: «Il biglietto lo paga il presidente del Santa Lucia, ma guarda che è di sola andata. In Australia non torni più!». E infatti non ci sarebbe tornato...

Fra le altre cuirosità: la convinzione di aver svoltato quando firmò il contratto con la Juventus, festeggiato la sera stessa con una riunione di famiglia a Prato "dove scappò anche qualche lacrima". Ma anche l'ammissione di aver scelto poi l'Atletico Madrid prendendo in considerazione solo una questione: il denaro. E infine una curiosità molto pratese: il nomignolo Bobo (in quanto figlio di Bob) gli fu affibbiato per la prima volta dall'attaccante Alessandro Brunetti ai tempi della Primavera del Torino. Brunetti che poi, per combinazione, diventerà una bandiera proprio del Prato.