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Trent’anni di Provincia: il sogno interrotto "E’ stato il populismo a svuotarla di potere"

Domani la ricorrenza che rappresenta uno spartiacque. Mannocci, il primo presidente: "Oggi stiamo perdendo risorse fondamentali"

"Quella in Provincia è stata per me l’esperienza amministrativa più bella, sia in termini di rapporti con i sindaci e con la cittadinanza, che per il lavoro fatto con i dipendenti dell’ente. Io credo che le Province abbiano pagato sulla propria pelle l’ondata populista. Una vera e propria beffa per il territorio, perché le tasse sono rimaste invariate, mentre gli investimenti sono drasticamente crollati. Resta comunque la battaglia per il riconoscimento dell’indipendenza del territorio da Firenze, e l’orgoglio per quello che abbiamo lasciato a tutti i comuni in termini di investimenti infrastrutturali e sul patrimonio artistico". Daniele Mannocci, 64 anni, ex funzionario della Cassa di Risparmio di Prato, segretario generale della Cisl per 10 anni e presidente del consiglio comunale dal 2004 al 2009, è stato il primo presidente della Provincia di Prato dal 1995 al 2004.

A lui, alla vigilia del trentennale dall’istituzione dell’ente di palazzo Banci Buonamici, il compito di raccontare la storia di una istituzione voluta ma anche contestata dai pratesi.

Mannocci, cos’era la Provincia al suo arrivo nel 1995?

"Era una struttura modesta. Avevamo un po’ di personale della vecchia associazione intercomunale e qualche dipendente mandato dalla Regione per il settore della formazione. La prima sede è stata quella di palazzo Buonamici, poi a seguito del restauro ci siamo spostati in via Valentini. Il cantiere è stato lungo, anche perché nel giardino furono ritrovati resti antichi, che comportarono dei rallentamenti. Ricordo bene la corsa nei primi giorni ad acquistare gli arredi, i telefoni, a predisporre i concorsi. Ci vollero un paio d’anni per arrivare a regime". Quali opere la Provincia ha lasciato in eredità al territorio? "Quelle più rilevanti hanno riguardato le scuole superiori. Penso al completamento del polo di San Giusto, allo spostamento del Copernico da via Costantini a viale Borgovalsugana. E poi la creazione del Centro per l’Impiego che a lungo è stato il fiore all’occhiello della Toscana per la formazione e il collocamento del personale".

E poi ci sono stati gli investimenti culturali…

"Esatto. Abbiamo investito tanto nel recupero del patrimonio artistico: penso alla Badia di Vaiano, ai contributi per la Rocca di Cerbaia, per la Villa Il Mulinaccio e per il recupero delle Scuderie Medicee".

Perché ritiene un errore la trasformazione della Provincia in un ente di secondo livello?

"Perché si sono perse risorse fondamentali per tutto il territorio pratese. Ci sono stati molti meno restauri, la Fil ha assunto un ruolo molto più marginale ed è stato smantellato e distrutto un lavoro grande e importante. Ma la beffa c’è stata anche per chi ha lottato per arrivare all’abolizione delle Province, perché le tasse sono rimaste invariate e i servizi sono diminuiti".

L’idea di arrivare a realizzare il Creaf parte da lei e dalla sua giunta. A posteriori se n’è pentito?

"Assolutamente no. Eravamo a fine mandato quando nacque l’idea, che poi si è concretizzata negli atti amministrativi con la giunta Logli. L’idea era ottima: si dava una prospettiva a Prato sulle aziende innovative. Il Buzzi, ad esempio, aveva dei laboratori in condizioni non semplici che avrebbero potuto trovare ospitalità al Creaf. O ancora Tecnotessile ci voleva investire, una multinazionale della lana era pronta a venire in via Galcianese. E c’era pure la prospettiva di costruire la galleria del vento più grande d’Italia. Poi le lungaggini burocratiche hanno rovinato i piani iniziali, portando al fallimento del progetto".

Cosa si auspica per il futuro? "Che il governo restituisca alla Provincia funzioni effettive e reali. Non tutto può essere accentrato in Regione. Purtroppo Prato ha pagato il populismo e l’inefficienza delle vecchie Province".

Stefano De Biase