WALTER BERNANDI*
Cronaca

Malaparte e Montanelli, gelosi uno dell’altro

I vent’anni dalla morte del giornalista riaprono tanti ricordi. Compresi quelli legati al suo rapporto con Curzio. Fatto di stilettate e colpi bassi

di Walter Bernandi*

Curzio Malaparte e Indro Montanelli, due ‘maledetti toscani’, due amici-nemici gelosi l’uno dell’altro che continuano imperterriti a far notizia e a ripresentarsi in libreria, come nel caso di quello di Fucecchio, in occasione in questi giorni della ricorrenza dei vent’anni dalla morte. Malaparte era più vecchio di dieci anni e anche più famoso, ma aveva capito che Montanelli aveva stoffa da vendere, e per questo aveva sparso a piene mani nei suoi scritti maldicenze e pettegolezzi. Come avrebbe riferito lui stesso anni dopo a un’altra ‘maledetta toscana’, la fiorentina Oriana Fallaci, lo aveva soprannominato ’Cilindro Schizzo’, perché, a differenza di quanti "hanno letto tre libri e si credono maestri", lui aveva letto "qualche libro di più", ma era "verde d’invidia" nei suoi confronti. Montanelli lo aveva ripagato della stessa moneta, se non peggio. Quando nel marzo 1957 Malaparte era rientrato moribondo dalla Cina e all’aeroporto di Ciampino c’era una folla ad aspettarlo, Montanelli si era guardato bene di partecipare al pellegrinaggio e si era limitato a mandargli un’acida letterina nella quale gli diceva di non essersi fatto vivo, nemmeno all’ospedale, perché sapeva che era "assediato e ossessionato dalle visite". Aveva poi aggiunto di sperare che "il malanno" che lo aveva colpito non lo avesse obbligato – con allusione alla ‘mascherina’ con la quale era apparso sulla scaletta dell’aereo – "ad applicare alla penna il bavaglio" che i cinesi, "beati loro che ci son riusciti!", gli avevano messo sulla bocca. Malaparte aveva reagito in modo furibondo gridando alla presenza di alcuni visitatori: "Non voglio morire prima di Montanelli! Sono io che voglio andare al suo funerale!". Risaputa la cosa, Montanelli aveva dato fondo alla sua perfidia con un velenoso ‘coccodrillo’, ovviamente già preparato per tempo. L’inizio era mellifluo, ammetteva di aver voluto bene a Malaparte, ma "solo a mezzo, come s’usa fra toscani", ma per consolarsi subito dopo dicendo che il ‘maledetto pratese’ aveva avuto una bella fortuna: quella di ’andarsene’ alla Malaparte: "con tutt’i suoi capelli ancora neri e col fare insolente e ribaldo, da bravaccio ammazzatutti", perché "non era fatto per invecchiare e la dentiera gli sarebbe stata malissimo". Aveva quindi riportato le parole di Malaparte sul letto di morte, dicendo di non sapere perché lo avesse "preso tanto in odio", ma anche questo lo considerava un regalo che gli aveva fatto lui, perché per merito suo era morto "così in carattere con se stesso, battagliero e aggressivo, sul punto di ripartire per qualche nuovo putiferio".

Si può ben immaginare il disappunto di Montanelli quando il direttore del Corriere della Sera, Mario Missiroli, gli aveva comunicato di respingere il suo necrologio, perché preferiva quello di Eugenio Montale. Scornato, si era dovuto rassegnare a pubblicarlo in un libro di due anni dopo. Non aveva però rinunciato alla vendetta, e nella ricorrenza del trentesimo anniversario della morte dell’amico-nemico si era levato lo sfizio di scrivere sul Giornale un articolo che trasudava la stessa astiosa malevolenza di tanti anni prima. Con il titolo "Le lacrime di Curzio e il petto di Silvana", aveva ripubblicato il testo di una sua lettera a Leo Longanesi, nella quale sbeffeggiava Malaparte come un bugiardo patentato perché aveva costretto la famosa attrice Silvana Pampanini a prestarsi ai propri giochi per farsi un po’ di pubblicità. Sarà stato vero? Chi era più bugiardo e più cinico, Malaparte o Montanelli? E Oriana dalla parte di chi stava? Quello che è certo è che di ‘maledetti toscani’ così se n’è perso lo stampo, e oggi più che mai ce ne sarebbe tanto bisogno!

* Storico, presidente

Fondazione Casa Pia dei Ceppi