L’ultimo banco di prova per la mafia cinese. "A Prato esiste e noi ne abbiamo le prove"

La Dda chiede il processo per il "capo dei capi" e altre 78 persone. Ma finora qui il 416 bis è stato quasi impossibile da dimostrare

Operazione China Truck Dda Firenze

Operazione China Truck Dda Firenze

Prato, 29 aprile 2021 -  La Dda tira dritto: "Quella è mafia". Le difese si oppongono avendo dalla loro parte ben due pronunciamenti del Riesame e d ella Cassazione e chiedono il "non luogo a procedere". Il giudice prende tempo per riflettere. Si è chiusa ieri mattina nell’aula bunker di Firenze l’udienza preliminare sulla inchiesta della Dda, chiamata China Truck, che ha portato a ipotizzare l’esistenza a Prato di un’organizzazione di stampo mafioso all’interno della comunità cinese, che aveva infiltrazioni in attività lecite e illecite. La conferma dell’esistenza della piovra gialla, di una organizzazione che aveva allungato i suoi tentacoli sulla città, monopolizzando il trasporto merci su gomma, lo spaccio di droga, il giro di prostituzione, il gioco di azzardo con metodi criminali come estorsioni, intimidazioni e usura.  

Le indagini della squadra mobile portarono all’arresto, nel gennaio del 2018, di 33 cittadini cinesi fra cui il personaggio di spicco della presunta organizzazione criminale, Zhang Naizhong (definito dal gip che dispose la misura cautelare, "capo dei capi", "uomo nero"). Un terremoto che travolse la città trasformandola in poche ore nella "capitale europea" della mafia cinese, come commentò il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho. In realtà gli arrestati restarono in carcere solo 20 giorni: il Riesame, richiesto dai legali degli indagati, non ravvisò gli estremi per la contestazione del 416 bis. Stessa cosa fece la Cassazione con due pronunce diverse con le quali confermò la scarcerazione degli indagati. La procura nel frattempo ha chiuso le indagini e il pm Eligio Paolini è andato avanti per la sua strada chiedendo il rinvio a giudizio di tutti gli imputati (nel frattempo aumentati) contestando loro il 416 bis, l’associazione di stampo mafioso. Il 3 giugno il gup di Firenze deciderà se far cadere l’ipotesi accusatoria più grave o confermarla mettendo un punto fermo su una questione molto dibattuta negli ultimi tre anni. Nel corso del tempo l’inchiesta si è allargata arrivando a coinvolgere 79 indagati fra cui 10 italiani (alcuni di questi sono donne) che avrebbero fatto da prestanome agli affiliati dell’associazione capeggaita da Naizhong. Il pm Paolini ha contestato l’aggravante mafiosa ai 44 indagati cinesi. Tutto il processo dipende dalla decisione del gup. Se dovesse cadere la contestazione del 416 bis allora gli imputati potrebbero andare a processo solo per i singoli fatti contestati (ad esempio, Naizhong ha un solo episodio di estorsione per il quale sta già procedendo il tribunale ordinario di Prato) liberandoli da un’accusa ben più pesante.  

Secondo quanto ricostruito dalle indagini della squadra mobile pratese, l’associazione mafiosa, operante su Prato ma anche a Firenze e Roma e all’estero, avrebbe commesso una serie di delitti fra cui estorsioni, usura, esercizio abusivo del credito, gioco d’azzardo, traffico di droga e sfruttamento della prostituzione, per conquistare e mantenere il controllo del territorio e delle attività produttive. L’obiettivo, per gli investigatori, era quello di acquisire il monopolio di attività ec onomiche lecite, in particolare nel settore dei trasporti su gomma. Il capo assoluto al vertice della piramide della presunta associazione criminale era Naizhong, il "padrino", colui che aveva riportato la "pace" in città dopo una serie di gravi fatti di sangue legati al controllo del territorio. I reati contestati coprono un arco di tempo che va dal 2012 al 2017. Gli investigatori sarebbero stati pronti a chiudere il fascicolo prima del 2017 ma, anche per il continuo cambio di pm, tutto è rimasto fermo per quattro anni. Poi, nonostante gli arresti show del gennaio 2018, i primi passi della Dda sono finiti in una bolla di sapone. Gli arrestati, rinchiusi in carceri di massima sicurezza di mezza Italia, vennero subito liberati. Adesso c’è l’ultimo banco di prova.