
La Fondazione Opera Santa Rita è un baluardo contro il disagio giovanile. Poli: "Mi preoccupa la povertà culturale e l’idea di possesso: alimenta la violenza".
Un’aggressione, un diciottenne in coma. Un sabato sera che scuote la comunità e chiede il conto agli adulti. Cosa possiamo fare? Il calendario è in corsa veloce verso l’estate, le scuole stanno per chiudere e c’è tanto tempo per stare nelle piazze, nelle strade. Riccardo Poli, medico, direttore sanitario all’Opera Santa Rita e già direttore della Società della salute di Prato, da quando è andato in pensione tre anni fa vive in una casa-famiglia con i minori. Da sempre attivo nell’impegno sociale, partecipa con passione per la formazione dei ragazzi.
Poli, cosa ci deve preoccupare quando parliamo di giovani e di giovanissimi?
"Mi preoccupa la povertà culturale ereditata dalla società e la potenza che ha acquisito l’idea di possesso. Delle cose e delle persone. C’è un evidente esercizio del controllo, per contare attraverso il possesso. Il cellulare, la moto. Ma non solo quello che si può comprare. Quando ero giovane, le ragazze non avrebbero mai accettato che un fidanzato si fosse intromesso in una loro uscita con le amiche o con un amico, sarebbe stata un’ingerenza intollerabile. La violenza si alimenta anche da questa idea di possesso".
Guardando a tanti episodi di cronaca, ci si chiede quanto la vita degli altri abbia un valore...
"C’è una questione di rispetto che si è allentata e le vite degli altri sembrano contare davvero poco. Si rischia di assorbire tutto, senza muovere un sopracciglio".
Fondazione Opera Santa Rita è un baluardo al disagio e una porta per imparare a stare con sé stessi e con gli altri. Ci vuole un nuovo approccio educativo?
"Il progetto Casa Edoardo, chiamato così in memoria di uno scout, e che sarà operativo nell’ex sede della Cisl di via Pallacorda è un ‘idea maturata tra noi, l’oratorio di Sant’Anna, la Caritas, la parrocchia delle Carceri. Pensiamo all’azione degli ‘educatori di strada’ che andranno nei luoghi di aggregazione giovanile. Dovranno essere individuati i linguaggi giusti per avvicinare i ragazzi".
Si chiamerà casa, ma potrebbe essere un’agorà?
"E’ così, nel senso di comunità: offrire agli adolescenti proposte che possano sentire e riconoscere come proprie".
Saranno disponibili?
"I giovani sanno essere generosi. Pensiamo a chi è impegnato nel volontariato. Dando loro fiducia, potranno diventare responsabili e autonomi".
I centri e i servizi per i minori messi in piedi dalla Fondazione Santa Rita seguono proprio questo cammino.
"E’ una rete di accoglienza e socializzazione, ma anche di percorsi di studio e orientamento al lavoro".
Questi giovani riuscite ad incrociarli anche grazie ai servizi sociali. Ma gli altri, magari anche quelli che non sembrano a rischio?
"Importante è il lavoro che facciamo tutti assieme, con il sostegno di Comuni, Asl, Parrocchie, Centri di aggregazione, ma nessuno si deve sentire deresponsabilizzato o al riparo da rischi".
La famiglia e la scuola?
"Credo che la scuola stia facendo molto, ma la famiglia non può delegare o distrarsi. Tanto va fatto nelle case. Guardare, ascoltare, parlare, condividere. I ragazzi hanno bisogno di essere incoraggiati a parlare. Magari fanno gesti avventati, ma sembrano anche spaventati. Educare è difficile e faticoso. Lo si può fare anche senza essere pesanti, ma non superficiali".
Marilena Chiti