"Pronto soccorso, il mio calvario: lenzuola sporche di sangue, cibo inesistente"

Prato, il racconto di un cittadino: "Il personale è encomiabile, ma entrare in una struttura di emergenza è come un girone infernale"

Un pronto soccorso

Un pronto soccorso

di Alessandro Frosini*

Prato, 23 ottobre 2021 - Chi scrive ha avuto la sfortuna di passare da sabato 16 ottobre alle 13 al tardo pomeriggio di lunedì 18 al pronto soccorso dell’ospedale. Ci tengo a chiarire subito, che il personale che lavora lì è assolutamente encomiabile, ed è la prima vittima di una situazione insostenibile quanto incredibile, in un ospedale di nuova costruzione. Mi sono sentito male sabato mattina e sono arrivato in ambulanza, quindi sono entrato direttamente, evitando la coda di ore che fa chi arriva con i propri mezzi; sono stato caricato su una lettiga che è stata il mio giaciglio per le successive 53 ore.

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Mi sono poi reso conto, che il lenzuolo sopra la lettiga era sporco di sangue, sicuramente non mio. Sono quindi entrato in una specie di girone infernale, con pazienti accatastati in ogni angolo e medici, infermieri e oss che correvano, come topi impazziti, da una lettiga all’altra. Sono stato portato nella sala arancione dove mi hanno prestato le prime cure e fatto gli esami necessari, in modo molto professionale.

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Da allora ho cominciato ad attendere. In quel posto si aspetta e si aspetta che qualcuno ti dica qualcosa: innanzitutto cos’hai, come hanno intenzione di curarti, se ti ricoverano o ti rimandano a casa. Si aspetta la terapia, i controlli di routine, gli esami strumentali e i prelievi. E poi si aspettano i risultati di tutto questo e tra l’uno e l’altro trascorrono ore, al punto che perdi la cognizione del tempo dato che non ci sono finestre (neanche una).

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E poi aspetti di mangiare, se puoi. Già perché al pronto soccorso, che dovrebbe essere un posto di primo intervento, non è prevista una vera e propria mensa: alle persone anziane (tantissime) viene portato un piatto di semolino o di purè, agli altri due fette di pane dure con in mezzo una fetta di prosciutto crudo o cotto. A cena niente, solo a a chi lo chiede con veemenza arriva il solito panino (avanzato da pranzo). E a colazione? Un bicchiere di carta con del tè e 4 fette biscottate.

La sera del sabato mi hanno spostato dalla sala arancio (che la notte chiude) al cosiddetto ‘open’: una stanza pensata al massimo 25 per persone dove ce ne mettono 40, mentre altri sono stipati fuori, lungo il corridoio, nelle rientranze che portano alle uscite, ovunque. Passare una notte lì dentro è indescrivibile: persone che urlano, minacciano, maledicono, chiedono disperatamente aiuto, chiamano figli che non ci sono. Il tutto mentre continua ininterrottamente la sarabanda dei nuovi arrivi, che non cessa mai, 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

La domenica, verso l’ora di pranzo, i miei parametri si erano stabilizzati, da quel momento in poi sono stato ad attendere, inutilmente, che si liberasse un posto in reparto per essere ricoverato, cosa che al lunedì pomeriggio non era ancora avvenuta e il medico di turno ha deciso di dimettermi, ordinandomi di fare da casa un notevole quantitativo di esami che lì mi avrebbero potuto fare in poche ore.

Non lo biasimo, io stesso non vedevo l’ora di uscire, da sabato non mi ero potuto né lavare né cambiare, avevo mangiato pochissimo (il lunedì, essendo stato spostato nel corridoio, mi hanno proprio dimenticato). Proprio mentre stavo per uscire hanno chiesto ai pazienti che potevano di spostarsi su delle sedie e dopo hanno sistemato perfino due brandine da campo, di quelle smontabili, alte 20 centimetri e le hanno piazzate in un pertugio fra un corridoio e un portone chiuso.

Ho cercato di rendere un’idea, ma sono sicuro che solo standoci ci si può rendere veramente conto di quello che succede in pronto soccorso. Perché tutto questo? Innanzitutto perché molti medici di base non effettuano più visite, ma si limitano a dare appuntamenti in ambulatorio e chi si sente male va al pronto soccorso e poi perché per molti stranieri è l’unico modo per farsi curare.

Ma i maggiori responsabili sono coloro che hanno progettato e costruito un ospedale assolutamente inadeguato, più piccolo di quello che ha sostituito, con un pronto soccorso scioccamente sottodimensionato per la popolazione di Prato e della provincia.

Ho sentito il dovere di raccontare non solo per i pazienti, ma anche per il personale che ci lavora, uomini e donne sull’orlo di una crisi di nervi.

* un paziente amareggiato