Caporalato, il giudice rigetta le richieste di scarcerazione

Ne sono state presentate dieci nell’ambito dell’inchiesta sul caporalato. Riesame per quattro arrestati: avrà inizio dalla prossima settimana

Inchiesta caporalato

Inchiesta caporalato

Prato, 5 giugno 2020 - Sono state rigettate tutte e dieci le richieste di scarcerazione presentate al gip Costanza Comunale nell’ambito dell’inchiesta sul caporalato, condotta dalla squadra mobile di Firenze, in collaborazione con i colleghi di Prato e di Pistoia. Due anni di indagini che hanno svelato come due società edili con sede legale a Prato, la Eurocostruzioni 75 e la Novaedil con cantieri sparsi in tutta la Toscana e fuori dalla regione, sfruttassero lavoratori a nero oltre che la manodopera clandestina. Accuse pesanti alle quali si aggiunge quella di caporalato, il famoso 603 bis.

Lo stesso Lorenzo Gestri, sostituto procuratore pratese a cui è affidato il fascicolo in quanto coordinatore del pool dedicato ai casi di sfruttamento lavorativo, aveva dato parere contrario motivato alle richieste di scarcerazione. Dopo il diniego del giudice, quattro di loro hanno già fatto riesame che avrà inizio dalla prossima settimana.

A Prato è la seconda volta che la procura contesta il 603 bis, un’accusa che aggrava la posizione del datore di lavoro, come ha avuto modo di ricordare lo stesso procuratore Giuseppe Nicolosi in occasione della presentazione dei risultati dell’inchiesta. "Le vittime erano trattate come fossero animali, senza rispetto, senza che venissero rispettate le minime prescrizioni del contratto di lavoro", aveva commentato il procuratore. Ai vertici dell’organizzazione criminale che aveva messo in piedi una associazione a delinquere finalizzata a reperire la manodopera e a sfruttarla c’erano Vincenzo Marchio, 45 anni, originario di Isola Capo Rizzuto ma residente in città e titolare della Eurocostruzioni, e due caporali egiziani, i fratelli Said e Sabri Mohamed di 41 e 39 anni. Al primo era intestata la Novaedil che, in realtà, faceva capo allo stesso Marchio. I tre devono rispondere anche di associazione a delinquere.

Oltre a loro sono finiti in carcere altri sette intermediari (tutti stranieri) che aiutavano i due caporali a reclutare operai, muratori e manovali. La ricostruzione dell’accusa parla di una sessantina operai, di cui quindici clandestini, impiegati nei cantieri delle due società nei due anni d’inchiesta, partita nel luglio 2018 a seguito di un esposto presentato in procura a Firenze dalla Cgil. L’operaio egiziano sosteneva nella sua denuncia di non essere stato pagato per lavori eseguiti per conto delle due società nel negozio di Armani in centro a Firenze e nelle sedi di Gucci a Scandicci (le griffe di moda sono estranee ai fatti). Da qui l’esposto e poi le indagini della Mobile, che hanno permesso di scoprire un mondo fatto di sfruttamento lavorativo.

Il fascicolo per competenza territoriale è passato alla procura pratese. Non c’è voluto molto per avere un’idea precisa di quello che succedeva agli operai reclutati dai caporali: paghe da 5-6 euro l’ora con turni fino a 12 ore al giorno, senza riposo domenicale, ferie, permessi, malattie, con pochi minuti per mangiare e senza misure di sicurezza. I fratelli Mohamed reclutavano i connazionali, ma grazie al passa parola venivano presi a lavorare manovali di altre nazionalità. I punti di ritrovo erano sotto la casa a Quarrata e in un bar alle Badie a Prato. Nei guai anche due consulenti del lavoro di Prato per aver dato certificazioni (fittizie) dei corsi di formazione e di sicurezza sui luoghi di lavoro: sono indagati a piede libero. © RIPRODUZIONE RISERVATA