Il sogno di Galceti. Sfuma la riapertura: "Troppi paletti dalla Asl per la fauna selvatica"

Nonostante i buoni propositi si allontana l’idea di riqualificare il centro rendendolo santuario faunistico. Il problema è legato alla gestione degli animali che non possono entrare in contatto con il pubblico.

Riaprire Galceti è un’impresa più complicata del previsto. I buoni propositi di Fondazione Parsec che gestisce il Csn dal 2015 e Comune che addirittura aveva azzardato l’ipotesi di poter restituire il grande parco intagliato nel Monteferrato per la festa della città, ossia l’8 settembre, si è infranto nelle maglie dei permessi e delle autorizzazioni, prima quella regionale che riconosce il parco come santuario faunistico, approvata di recente, poi le prescrizioni della Asl in materia di animali alle quali si aggiungono gli interventi strutturali necessari e non ancora eseguiti. Insomma Galceti resta impantanato tra cavilli e il sogno di rivedere gufi, pavoni e cerbiatti si allontana lentamente e inesorabilmente. Gli animali selvatici non possono entrare in contatto con le persone altrimenti perderebbero la loro naturale autonomia che permette loro di essere reintrodotti in natura una volta curati dai volontari e dal personale del centro. Da qui il problema non da poco, che ne sta rallentando l’apertura.

L’assessore competente, Giacomo Sbolgi, giovedì ha effettuato un sopralluogo di tre ore al centro insieme alla neo presidente Antonella Fioravanti, per cercare insieme una soluzione sostenibile che permetta di restituire alla città un vero fiore all’occhiello. Al vaglio promette che ci sono diverse ipotesi, ma per adesso si tratta solo di progetti sulla carta e niente di avviato. E così l’attesa e sperata inaugurazione slitta di mese in mese.

"Stiamo lavorando alacremente, anche in settimana sono stato a Galceti per cercare con la presidente del Parsec una soluzione - spiega Sbolgi -. Il problema non è tanto legato alla autorizzazione della Regione che ha nominato Galceti santuario faunistico, quanto il problema legato alle prescrizioni da parte della Asl che ci obbligano a dover eseguire lavori importanti per isolare, gli animali, quelli malati, quelli recuperati a seconda della specie e non è banale. Trattandosi di fauna selvatica non devono entrare in contatto tra loro né con persone per questo servono strutture che non ci sono. Spazi ulteriori che vanno realizzati, stiamo veramente facendo di tutto per cercare di individuare una soluzione che possa andare bene". L’obiettivo del centro è quello di diventare parco faunistico per il recupero, la cura e la reintroduzione in natura degli animali selvatici, da qui le selettive prescrizioni della Asl. Dopo le vicende giudiziarie, la tempesta di vento del 2015 e i lunghi anni di Covid che ne hanno imposto la chiusura poi divenuta definitiva, il Centro di scienze naturali fatica a ripartire. La stima dei lavori necessari supera i 600mila euro.

"La Fondazione ha risorse accantonate per eseguire alcuni lavori come la messa in sicurezza della staccionata attorno al laghetto e altre opere - aggiunge Sbolgi - ma la parte legata alla gestione degli animali è complicata. Le specie alle quali davamo da mangiare quando eravamo piccoli non saranno più visibili in quel modo perché perderebbero la caratteristica di animale selvatico. Ci sono ancora tre gufi bellissimi che sono stati tenuti per anni in cattività e che non potranno mai tornare liberi perché non sopravviverebbero".

Attualmente il Centro di Scienze Naturali è chiuso al pubblico, ma nel 2018 ha ripreso a svolgere il servizio di recupero e cura della fauna selvatica e anche di animali sottoposti a sequestro o protetti oltre ad organizzare visite didattiche esclusivamente riservate alle scuole. Tre i dipendenti della Fondazione mentre a breve saranno necessarie altre due assunzioni. Tanti i volontari che prestano servizio per la cura degli animali all’interno del parco: 18 ettari incastonati nell’area protetta che aspettano di tornare ad essere frequentati. Ma la strada sembra ancora lunga e molto tortuosa.

Silvia Bini