"Il Faggione condannato: era appeso a un filo"

A rivelarlo è il funzionario dell’Unione dei Comuni dopo un sopralluogo. Il problema di smaltire centinaia di alberi caduti con la burrasca

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"Il Faggione sarebbe caduto comunque, anche se non fossero state tagliate le piante attorno". E’ questa l’idea che si è fatto il funzionario dell’Unione dei Comuni che gestisce il patrimonio agroforestale regionale all’interno della Provincia di Prato, l’agronomo Luca Maccelli, che lunedì scorso ha fatto un sopralluogo per verificare le condizioni della pianta a terra. Il gigante buono è stato messo in sicurezza e ne resterà sul posto una pezzo a memoria di quello che era, come è avvenuto per l’altra parte caduta nel 2013.

"Dispiace tantissimo – dichiara Maccelli – perché era una zona importante della Riserva, di cui il Faggione era il simbolo. La sorpresa è stata grande: era completamente marcio, attaccato da un fungo che aveva lasciato spazio ad un formicaio. Una situazione che dall’esterno non era possibile vedere, l’albero era florido. Ma praticamente era attaccato ad un filo: era agganciato al suolo solo per una parte piccolissima, per l’appunto quella dove gravava il peso della chioma, che sbilanciava tutta la pianta. A ripensarci ora – aggiunge – è stato un miracolo che non sia caduto prima, quando magari sotto passava una scolaresca o degli escursionisti. Perché sarebbe bastato solo una piccola ventata a buttarlo giù. Era messo come la parte che è caduta nel 2013. E a questo proposito – dice Maccelli – abbiamo scoperto che erano due o più piante distinte, si vede bene, adesso, come le cortecce si fossero unite".

A livello patologico ancora non ci sono risposte. "Farà una valutazione un patologo dell’equipe che sta portando avanti il progetto sul bostrico – spiega Maccelli –. Si tratta di un progetto importante, che considera diversi aspetti. Anche il bostrico è stata una brutta sorpresa, inaspettata, da noi non c’era prima del 2020-2021. E invece adesso sta andando avanti molto velocemente, temiamo anche per i pini, alcuni sono già stati attaccati. E previsto il taglio di altre peccete: inizialmente dovevano essere ’abbattuti 8 ettari di abete rosso, arriveremo a 16. Il progetto, considera anche l’aspetto della prevenzione".

Un progetto che prevede anche un processo partecipativo nella scelta delle piante da posizionare dove è sparita la ceppeta, che fa parte di un insieme di 50 ettari di fustaie miste piantate nell’area dove sorge la Riserva nel dopoguerra. "I tagli in corso si concluderanno entro la fine del mese – prosegue Maccelli – e la nuova piantumazione avverrà a primavera. Nel frattempo incontreremo i cittadini per condividere con loro le decisioni del coordinamento scientifico che segue il progetto, che sta prendendo in considerazione questioni come il cambiamento climatico e l’emissione di anidride carbonica. La riapiantumazione era prevista per la scorsa primavera, ma ci sono stati dei rallentamenti burocratici da parte della Regione, determinati dall’utilizzo dei macchinari". E per chi si domanda dove verrà trasportato – a suon di gasolio - tutto il legno prodotto dagli abeti abbattuti, depositato a montagne nel pratone sotto la radura del Faggione, la risposta resta vaga. "Noi abbiamo venduto il bosco in piedi – conclude Maccelli – quindi non sappiamo dove la ditta che l’ha acquistato porterà il cippato, è un aspetto che non ci compete. Sappiamo però con sicurezza che chi gestiva prima la centrale a biomasse di Luicciana e i nuovi gestori non l’hanno mai chiesto, ma c’è disponibilità da parte nostra a darglielo e immagino che anche la ditta che sta facendo il taglio non avrebbe problemi. Anche perché quella centrale era nata proprio per utilizzare anche materiale proveniente dalla Riserva".

Claudia Iozzelli