REDAZIONE PRATO

Il coraggio di crescere: "Ragazzi iperconnessi. Ma questo non significa avere relazioni"

Ammaniti, neuropsichiatra infantile, sabato a Palazzo Pretorio indagherà "i paradossi" di un’età che inizia troppo presto e finisce troppo tardi. Il ruolo della famiglia. "I conflitti aiutano a crescere" .

Ammaniti, neuropsichiatra infantile, sabato a Palazzo Pretorio indagherà "i paradossi" di un’età che inizia troppo presto e finisce troppo tardi. Il ruolo della famiglia. "I conflitti aiutano a crescere" .

Ammaniti, neuropsichiatra infantile, sabato a Palazzo Pretorio indagherà "i paradossi" di un’età che inizia troppo presto e finisce troppo tardi. Il ruolo della famiglia. "I conflitti aiutano a crescere" .

C’è la parola guida del festival, coraggio, nell’incontro che si terrà sabato alle 9,15 al Museo di Palazzo Pretorio: Gli adolescenti e il coraggio di crescere. Ad offrire il suo sguardo, la sua lettura, sull’universo dei giovani sarà Massimo Ammaniti, neuropsichiatra infantile e psicoanalista dell’Ipa (International Psychoanalytical Association) e professore onorario all’Università La Sapienza di Roma. Ascoltarlo sarà un’occasione per riflettere sullo stato dell’adolescenza contemporanea: un’età che inizia sempre prima e finisce sempre più tardi, attraversata da solitudini profonde, dipendenze virtuali e identità in cerca di definizione. Temi centrali anche nel suo ultimo libro "I paradossi degli adolescenti" (edito da Cortina).

Professor Ammaniti, come vede oggi gli adolescenti? Come stanno? E quale futuro li aspetta? "L’adolescenza è cambiata profondamente. Oggi vi si entra molto prima: le ragazze, per esempio, raggiungono la pubertà già a 11 o 12 anni. Ma non è solo una questione biologica: questi ragazzi arrivano all’adolescenza già carichi di esperienze. Spesso sono figli unici, immersi fin da piccoli nel mondo adulto e nei social media. Alcuni, purtroppo, si imbattono anche in contenuti inappropriati, come i siti pornografici, affrontando problematiche sessuali quando ancora non hanno una personalità strutturata. Lo abbiamo visto anche nella serie tv Adolescence, ad esempio".

E poi, una volta entrati nell’adolescenza, tanti faticano a uscirne... "Esatto. Questo è il grande paradosso: nell’adolescenza si entra presto e si esce tardi. Se un tempo si concludeva infatti con l’ingresso nella vita adulta, oggi può durare fino ai trent’anni. È una fase che si prolunga per la fragilità identitaria e le incertezze sul futuro. Un’adolescenza che sembra non finire mai".

Quali sono, oggi, le sfide principali che un adolescente si trova ad affrontare? "La prima è sicuramente quella del corpo. Un corpo che cambia rapidamente e che genera ansie. Si chiedono: "Come sarò? Piacerò agli altri?". Perché il corpo è anche un corpo sociale, che deve esporsi e essere accettato. Poi c’è il tema della solitudine: si lasciano alle spalle le identificazioni infantili, si prende distanza dai genitori, ma non sempre si hanno nuovi punti di riferimento. Si inizia a sperimentare un senso di solitudine. Questo senso di vuoto, dopo la pandemia, si è acuito moltissimo".

Il gruppo dei coetanei, che ruolo ha in tutto questo? "È centrale. Il gruppo diventa il nuovo baricentro emotivo e sociale oltre la famiglia. È una palestra per forgiare l’identità, ma anche un terreno dove si manifestano conflitti, pressioni e rischi. È nel gruppo che si sperimenta la competizione, l’affermazione, l’esclusione".

Oggi molti ragazzini (e a dire il vero anche molti adulti) vivono con una ‘protesi’: lo smartphone. Che impatto ha sui ragazzi il mondo virtuale? "Enorme. I social e internet occupano ore e ore della loro giornata, spesso a scapito della vita reale. E’ un mondo sempre più assorbente. In una fase della crescita in cui l’esplorazione e le relazioni con i coetanei dovrebbero essere concrete, il rischio è che si rifugino nel virtuale. Questa immersione può diventare una forma di dipendenza, un modo per evitare la fatica del confronto diretto. Il rischio è diventare dipendenti dal mondo virtuale, una dimensione monopolizzante. Essere connessi, iperconnessi, non vuol dire avere relazioni".

Ci sono anche segnali di disagio psicologico più profondo? "Sì, purtroppo sì. Nonostante abbiano più possibilità di viaggiare ed esplorare rispetto ai giovani di una volta, molti adolescenti vivono un malessere diffuso. Negli ultimi anni è cresciuta l’incidenza di stati depressivi e ansiosi. E qui bisogna anche chiamare in causa le famiglie, che spesso non sono in grado di fornire contenimento emotivo, proprio quando l’identità dei figli è più fragile".

Come si inserisce in tutto questo la figura del padre? E quella della madre? "Il padre contemporaneo corre il rischio di voler essere ‘amico’ del figlio, di desiderare la sua accettazione a ogni costo. Ma questo indebolisce il suo ruolo educativo. Rischia di non essere in grado di gestire i conflitti. E le madri tendono a giustificare troppo i figli, arrivando a forme di iperprotezione. Invece dobbiamo ricordarci che i conflitti fanno bene: sono fondamentali per crescere, per costruire l’autonomia e la propria identità".

E il futuro? Che orizzonte hanno davanti questi giovani? "Percepiscono un mondo senza molte opportunità, con pochi sbocchi professionali e tanta incertezza. Basta guardare i dati sull’emigrazione giovanile: ogni anno migliaia di ragazzi lasciano il nostro Paese. Eppure, è proprio in questo scenario complesso che dobbiamo avere il coraggio di accompagnarli, offrendo strumenti, ascolto e soprattutto fiducia nella loro capacità di crescere, di formarsi un’identità, di affermarsi".

Maristella Carbonin