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Prato, 29 aprile 2015 - Gli abiti sono «made in Italy» anche se cuciti all’estero. Lo ha stabilito il giudice del tribunale di Gorizia assolvendo la Logo srl di Prato che realizza contoterzi abiti per grandi griffe di moda.
Il procedimento giudiziario è partito nel giugno del 2012 dal sequestro della Guardia di finanza di Gorizia di 191 giacche da uomo che la Logo srl aveva spedito in Romania per essere assemblate, cucite, per conto della Ozone srl di Modena il cui titolare è Paolo Pierotti. La ditta realizza capi famosi come il Bark.
I finanzieri bloccarono le giacche alla dogana perché si accorsero che riportavano l’etichetta made in Italy nonostante fossero su un camion proveniente della Romania. Secondo l’accusa, la società avrebbe tentato di introdurre in Italia indumenti con segni distintivi nazionali che avrebbero potuto trarre in inganno l’ignaro compratore finale sull’origine e la provenienza del prodotto.
L’amministratore dell’azienda pratese è finito a processo con l’accusa di non aver rispettato le norme europee sul made in Italy.
In realtà l’uomo è stato assolto perché gli avvocati difensori, Federico Febbo e Costanza Malerba, hanno dimostrato come le 191 giacche siano da considerarsi «degne» della preziosa etichetta «made in Italy» in quanto, in Romania, sono state «solo cucite».
"Trattandosi di una realizzazione industriale – ha spiegato l’avvocato Febbo – la legge prevede che i capi possano essere cuciti all’estero. Per poter avere l’etichetta made in Italy devono essere realizzati con tessuti e accessori, ad esempio i bottoni, italiani e avere design della casa madre".
Come nel caso della Logo srl che realizza contoterzi capi per grandi griffe di moda facendo cucire gli abiti all’estero unicamente per abbattere i costi di manodopera.
Se – recita dice la legge – il tessuto e il design sono italiani è possibile apporre l’etichetta made in Italy. E la Logo srl ha dimostrato che i tessuti delle giacche sono stati comprati dalla New Mill di Prato e i modelli sono suoi.
Durante il processo sono stati ascoltati il direttore e il tecnico di produzione che hanno spiegato come si recassero (e si recano tuttora) presso le ditte in Romania per il controllo dei prodotti. Il giudice ha accolto la tesi dei difensori, assolvendo l’amministratore.
Trattandosi di un prodotto industriale è possibile far assemblare i prodotti all’estero, cosa che invece non è possibile nel caso in cui si tratti di un capo realizzato a mano che deve essere cucito in Italia, come un indumento full made in Italy. Quest’ultima classificazione è stata introdotta nella Finanziaria 2010 per capi che sono realizzati interamente in Italia: dal tessuto fino all’assemblamento. Un’etichetta che, però, è praticamente introvabile.
Laura Natoli