Dal ristorante Livio al mondo: Coppini, una vita di successi

Cresciuto in San Domenico, lì si svolgerà il suo funerale. L'azienda modello al fianco di Albini & PItigliani e un capolavoro nella telefonia

Furio Coppini nella sede della Becosped al Macrolotto

Furio Coppini nella sede della Becosped al Macrolotto

Prato, 28 febbraio 2020 - Che il funerale di Furio Coppini si svolga nella chiesa di San Domenico aggiunge dolcezza e ed attenua lo sbigottimento per una morte tanto improvvisa. La morte di un uomo dall’aspetto senza tempo, lo sguardo sveglio, l’età indecifrabile. In San Domenico all’angolo con via Convenevole (per sorte la strada in cui oggi è esposta la salma) sorgeva il ristorante Livio. Tovaglie a quadretti, cucina di casa e lo spirito dei fratelli Enzo e Lido, figli del del fondatore. Enzo, sorridente e gioviale era padre di Furio; Lido, lo zio sornione e dalla tagliente ironia. Da Livio transitavano i pratesi e i giocatori del Prato (un nome su tutti: Boninsegna, maggiore di lui di un paio d'anni) che per contratto prendevano lì i pasti e vi trovavano molto altro: affetto, sostegno, tifo e complicità. Vi trovavano la famiglia da cui si erano allontanati e all’epoca raggiungibile solo col telefono a gettoni. Furio è cresciuto assieme a intere generazioni di calciatori in quella piazza San Domenico che era un mondo a sé. Con la chiesa, la severa bonomia di padre Giorgio, il negozio di abiti (di un Coppini, pure quello) , il Bertelli che vendeva i libri di scuola e il bar Bruschi,  che la domenica esibiva una lavagna con scritto in caratteri quasi artistici il risultato della partita del Prato.

Ricevendo in San Domenico l'ultimo saluto, Furio chiuderà un cerchio. Un cerchio che lui ha massimamente allargato. Geograficamente, con l’attività di spedizioniere che recapitava in tutto il mondo le merci del pratesi. E allargato come qualità della vita,  non negandosi - sempre con etica e misura - a ciò che gli piaceva. Amava lo sport - il tennis e il golf di ordinanza a Prato - cui aggiungeva pallone, ciclismo, maratona. Temprando il fisico, sembrava allenare corpo e mente per le sole gare che davvero gli interessavano: quelle del lavoro. Nel lavoro Furio, geniale ed educato, di gran fiuto e composto, era imbattibile. Fondò col socio Benelli (da cui l’acronimo della ditta) la Becosped e si procurò la fiducia di un partner di livello internazionale: l’Albini & Pitigliani, ovvero di almeno tre o forse quattro generazioni delle due famiglie che hanno costruito il capitalismo e l’industria pratese. E non solo.

Dei traguardi lavorativi, ne citiamo due. Nel 2000 Becosped, ovvero Furio Coppini e i soci, cedette la società telefonica Gsc, Global System Communication fondata a Prato un paio di anni prima e titolare di una concessione per rete fissa, sperimentata nelle aziende e per gli stranieri che da Prato volevano raggiungere con la voce la madrepatria. Straordinaria plusvalenza per Coppini e soci. E un grande avvenire per l’azienda, crisalide di future, bellissime farfalle nella telefonia mobile nazionale.

L’altro traguardo risale a un paio di anni fa, quando Furio Coppini ridisegnò la società e affidò la parte operativa al giovane Francesco Albini, in una continuità imprenditorial-familiare che traccia un lungo avvenire per l’azienda, che ha sedi anche a Milano e qua è là, dove il mondo chiama. L’opera di ingegneria societaria avrebbe dovuto preludere a una serena, giovanissima terza età per Furio, fra la famiglia adorata. gli amici, lo sport e immancabili, e sempre più rarefatte, puntate in ufficio. Un maledetto malore gli ha impedito di goderselo.  E nessuno se ne fa una ragione. Nel pallone, lo aspettava la sua Juve allo Stadium, anche se tanta parte della città sperava che un giorno Furio Coppini avrebbe fatto la grande follia in cui era troppo razionale per precipitare: rilevare il Prato dal collega-amico Toccafondi. Anche lì avrebbe chiuso il ciclo con il se stesso bambino, che giocava coi calciatori in trattoria. Non lo ha fatto e non ha fatto le mille belle cose che lo aspettavano. Amato e stimato, Furio. Lascia lacrime ed incredulità. E una domanda secca, crudele e definitiva: che fretta c’era?

Piero Ceccatelli