Bar e ristoranti reggono a fatica. "Ci indebitiamo"

Take away e delivery bastano solo per le spese. E i dipendenti in cassa integrazione non riscuotono

Mirko Giannoni con un sacchetto da asporto

Mirko Giannoni con un sacchetto da asporto

Prato, 11 maggio 2020 -  «Asporto e consegne a domicilio ci bastano a malapena per bollette e affitti. Ma non sono sufficienti nel lungo periodo. Dobbiamo riaprire presto le nostre attività". E’ un coro praticamente unanime quello dei ristoratori e dei titolari di bar ed esercizi di somministrazione di cibo e bevande, che nell’ultima settimana hanno comunque in gran parte alzato le saracinesche per dedicarsi ai servizi di take away e delivery. Le situazioni variano da locale a locale, in base a dimensioni, numero di dipendenti e di soci, giro d’affari abituale, affitti da pagare o meno.  

Ci sono gli ottimisti, come Mirko Giannoni di Pepe Nero e Pepe e Vino: "Lavoro da solo, dalle 7 del mattino alle 9 di sera, per preparare pranzi e cene. I miei 10 dipendenti sono tutti in cassa integrazione, anche se non hanno riscosso un euro. Con asporto e delivery stiamo andando bene e riesco a pagare tutte le spese, ma sono fortunato ad avere fondi di proprietà, altrimenti un fatturato del 30% rispetto al solito sarebbe difficile da far bastare – spiega -. I clienti non vedono l’ora di tornare a mangiare. Vorrei riaprire, pur con tutte le limitazioni e i protocolli del caso. Avevo già pochi coperti, lavoravamo sulla qualità e sull’esperienza offerta a chi veniva a mangiare. Ma conserveremo anche asporto e consegne a domicilio". Restano fiduciosi in attesa della stagione estiva i titolari de La Cova Tapas Bar: "Il take away e il delivery consentono una tipologia di lavoro snella e sono molto apprezzati. Ci occupiamo di tutto noi 4 soci, ma abbiamo altri 4 dipendenti in cassa integrazione che ancora aspettano i soldi di marzo – precisa Margherita Biancalani, uno dei proprietari -. Per il momento riusciamo a coprire le spese, fra consumi, materie prime e affitti. Vorremmo avere delle certezze su come riaprire e su quali protocolli rispettare. Ci auguriamo che il Comune valuti davvero la possibilità di ampliare gli spazi esterni a disposizione dei ristoranti. In caso contrario sarà difficile far tornare subito tutti i dipendenti a lavorare". Anche Vladimiro Gori, dell’Osteria Su Santa Trinita, tutto sommato non si lamenta: «E’ una soluzione intermedia migliore rispetto a tenere completamente chiuso il locale. Per fortuna i clienti non ci hanno abbandonati e continuano a chiederci piatti sia da asporto che tramite le consegne a domicilio – commenta -. Lavoriamo su numeri molto inferiori rispetto al solito. Ma siamo in tre ad occuparci di tutto, con mia mamma a dare una mano. Gli altri 5 dipendenti sono in cassa integrazione e non hanno riscosso. Io vorrei riaprire già dal 18 maggio. Anche con la metà dei coperti dentro al locale, fa niente. Mi auguro che gli spazi pubblici vengano in parte utilizzati a sostegno della ristorazione".  

Diversa la situazione dei bar. "Ci sono ancora molti punti da chiarire che riguardano il futuro, ma sono ottimista. Ce la faremo. Intanto ci siamo attrezzati e abbiamo riaperto da lunedì scorso, col sistema del take away, sia la parte che riguarda la caffetteria, sia il punto pranzo – spiega Alfredo Dolfi, uno dei due proprietari del Caffè Buonamici – Abbiamo sanificato tutto il locale, comprato mascherine, guanti e gel igienizzante. fra documenti, materiali di protezione e materiale d’asporto, saranno serviti 500 euro solo per ripartire. Ovviamente su numeri inferiori, ma siamo solo noi soci in negozio per ora, in attesa di far tornare i dipendenti, che fra l’altro non hanno riscosso la cassa integrazione. I costi ci sono. Tanta roba la buttiamo via, ma è il pegno che si deve pagare. Abbiamo aperto per farci rivedere e per riprendere le vecchie abitudini. Spero di poter iniziare con la consumazione sul posto già dal 18 maggio e mi auguro che il Comune aumenti gli spazi esterni a disposizione dei commercianti".  

C’è invece chi è molto pessimista: "Asporto e delivery sono soltanto un palliativo. Ci stanno facendo morire lentamente: abbiamo bisogno di poter riaprire le attività. I soldi incassati non bastano nemmeno per coprire i costi fissi che sosteniamo – dice Mario Anastasi, proprietario del Bar Coppini -. Apro la mattina alle 7 per fare qualche colazione, poi chiudo subito dopo pranzo alle 14. La mia famiglia vive sui proventi del bar, che da due mesi non ci sono, e ho anche due dipendenti in cassa integrazione che ancora non hanno ricevuto un euro. Ci stiamo indebitando tutti sempre di più, rinviando i pagamenti, ma senza produrre profitti. Ho riaperto solo per rivedere i clienti e recuperare un contatto umano con loro".  

Leonardo Montaleni © RIPRODUZIONE RISERVATA