Bambina annegata in 80 centimetri d’acqua Indagini chiuse, in nove rischiano il processo

Omicidio colposo è l’accusa rivolta nei confronti di tutti, compresi i titolari pratesi dello stabilimento. Tre indagati verso l’archiviazione

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di Daniele Masseglia

Omicidio colposo. E’ con questa accusa che nove persone potrebbero essere rinviate a giudizio per la scomparsa di Sofia Bernkopf, la 12enne di Parma morta il 17 luglio 2019 all’Opa di Massa quattro giorni dopo l’incidente avvenuto in una piscina del bagno "Texas" di Marina di Pietrasanta. Nei giorni scorsi il pm del Tribunale di Lucca Salvatore Giannino ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini ai diretti interessati, i quali ora hanno venti giorni di tempo per presentare le proprie memorie o farsi interrogare. Dopo di che è probabile che per i nove indagati verrà chiesto il rinvio a giudizio. Per tre indagati iniziali, invece, la procura ha chiesto l’archiviazione.

Rischiano di finire a processo i cinque proprietari dello stabilimento balneare, ossia i pratesi Edo Cafissi, le sue due figlie Elisabetta e Simonetta e i rispettivi mariti Mario Marchi e Giampiero Livi (difesi fra gli altri dal professor Padovani di Pisa, Duccio Balestri e Alberto Rocca di Prato, Filippo Bellagamba e Enrico Marzaduri) , nonché i due bagnini Emanuele Fulceri di Viareggio e Thomas Bianchi di Camaiore, difesi rispettivamente dagli avvocati Enrico Marzaduri e Cristiano Baroni, il responsabile degli impianti tecnologici David Lari, che dal 2017 non lavorava più per il bagno "Texas", ed Enrico Lenzi, fornitore-installatore della piscina. Inizialmente il totale degli indagati era di dodici persone, ma, come detto, per tre manutentori il pm ha chiesto l’archiviazione che dovrà essere accolta dal gup. La decisione di non procedere nei confronti dei tre manutentori è stata presa dopo l’attenta analisi del contratto di lavoro: i tre infatti si dovevano occupare solo della pulizia e del controllo chimico dell’acqua. Mansioni che non avrebbero avuto nulla a che fare con l’incidente mortale della bambina.

Quella di Sofia fu una tragedia che commosse tutti. Si consumò nel pomeriggio di quel 13 luglio, giornata che la 12enne aveva trascorso al mare come tantissime altre volte insieme alla famiglia. Sofia, che frequentava la prima media insieme al fratellino gemello Tommaso, mentre stava giocando con i suoi coetanei si tuffò in una vasca per l’idromassaggio profonda appena ottanta centimetri, senza più riemergere. Nessuno si accorse di nulla, nessuno intervenne per aiutarla. I ragazzini che erano con lei si accorsero che qualcosa non andava solo quando la piccola oramai non si muoveva più. Furono loro a dare l’allarme. I soccorsi furono immediati. La bimba, però, arrivò all’Opa di Massa in arresto cardiocircolatorio. Le fu subito impiantato l’Ecmo, macchina che faceva le veci di cuore e polmoni, ma il danno dovuto alla mancanza prolungata di ossigeno era purtroppo devastante e irreversibile, e il cuore della piccola dopo quattro giorni di vane speranze e battaglie cessò di battere.

I genitori della 12enne avevano fatto espressa richiesta di donare gli organi della figlia, ma su disposizione del pm Giannino fu possibile espiantare solo le cornee. Gli accertamenti tecnici eseguiti durante le indagini condotte dalla Capitaneria di porto di Viareggio avevano riguardato sia il funzionamento delle vasche sia il sistema idraulico dello stabilimento, per un totale di otto prove filmate e poi consegnate ai consulenti tecnici del pm Giannino, ossia gli ingegneri Maurizio Orsini (noto per l’attività svolta dopo la strage ferroviaria di Viareggio) e Maurizio Berti. Prove che hanno rivestito un ruolo fondamentale anche perché i filmati delle telecamere su quanto avvenuto quel giorno al bagno "Texas" non erano stati salvati nonostante l’apposita richiesta degli inquirenti.

Secondo quanto emerso dalle indagini la bambina rimase impigliata con i capelli nel bocchettone dell’idromassaggio che la tenne sott’acqua finché gli amici non si accorsero che la bambina non si muoveva più dentro la piscinetta.