Riciclaggio, gli imprenditori saranno processati a Firenze

Fatturazioni fittizie: la richiesta per portare la battaglia legale a Pisa è stata rigettata e saranno processati insieme ai calabresi

Guardia di Finanza

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Santa Croce, 18 gennaio 20120 - Tutti a processo. Ma non a Pisa, a Firenze.  Rigettata la richiesta avanzata dagli imprenditori del Comprensorio rimasti incagliati nell’inchiesta Vello d’Oro di essere giudicati dal tribunale pisano inquanto i fatti a loro carico sarebbero avvenuti nel territorio di competenza. Invece si resta nell’aula penale del capoluogo di regione e si comincia il prossimo ottobre: in campo avvocati di prim’orine come Antonio Cariello, Andrea Di Giuliomaria a Alberto Marchesi. Per gli imprenditori finiti in questa storia è già caduta l’aggravante dell’agevolazione mafiosa e l’associazione per delinquere che resta invece in piedi per altri soggetti, e che porta direttamente a Reggio Calabria.  Questa è la storia di due grandi inchieste sinergiche «Vello d’oro» (in Toscana) e «Martingala» (in Calabria) che, nel 2018, portarono ad arresti e perquisizioni da parte della Dda a caccia dell’’ndrangheta e suoi clienti che tra false fatturazioni e movimentazioni finanziarie dissimulate ricicla denaro. Il processo ha nel fascicolo fatti e accuse – a vario titolo – di associazione a delinquere, riciclaggio e autoriciclaggio, usura, estorsione, esercizio abusivo del credito, frode fiscale, fatture false. 

Questi i pisani a processo: Giovanni Lovisi, Lina Filomena Lovisi, Alessandro Bertelli, Maurizio Sabatini e Marco Lami, già prosciolti anche laddove erano colpiti dall’imputazione di essersi associati con Scimone, Nirta, Stellitano e Iavazzo per commettere un numero indeterminato di delitti di riciclaggio attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti con aziende nel settore conciario. Imprese che pure erano economicamente sane avrebbero trovato vantaggio nel farsi prestare denaro, proveniente da società cartiere con sede anche all’estero, costituite per coprire, attraverso fatture false e movimentazioni fittizie, denaro proveniente da attività illecite: si sarebbe trattato di prestiti mascherati da acquisti di pellame utilizzati a loro volta dagli imprenditori per pagare lavoro nero e abbattere, con false fatturazioni, gli utili delle aziende scaricando al tempo stesso sull’Erario il ‘costo’ del finanziamento illecito ottenuto. A processo ci sono anche Antonio Scimone, il suo uomo di fiducia a Firenze Cosma Damiano Stellitano, Giuseppe Nirta (nipote dell’omonimo capo della ‘ndrina La Maggiore di San Luca) Antonio Barbaro e Andrea Iavazzo.