La città della pasta che ingolosì il mondo

Pontedera vantava prodotti conosciuti a Parigi, Londra, Vienna e New York. Una delle attività più famose fu quella di Ferdinando Paoletti

L’ex piazza San Martino, oggi via della Misericordia, con uno dei pastifici Paoletti

L’ex piazza San Martino, oggi via della Misericordia, con uno dei pastifici Paoletti

Pontedera, 22 novembre 2020 -  Pontedera è, ed è stata tante cose e a vederla oggi tutto si direbbe tranne che sia stata in passato "la città della pasta". Questa prestigiosa produzione iniziò nei primi decenni del XIX secolo e raggiunse un buon livello nei decenni successivi. Uno dei più notevoli produttori fu Ferdinando Paoletti che raccolse in ogni angolo del mondo riconoscimenti, alcuni dei quali esposti ancora in bella vista sul terrazzo della sua antica sede, che guarda via del Teatro sul corso Matteotti. Ferdinando e i figli Ottorino e Armando oltre le paste producevano i biscotti, tra i quali quelli Cavour premiati all’Esposizione Internazionale di Londra. Conosciuto ovunque aveva "per primo di ogni altro introdotto in Toscana la fabriccazione delle Paste sopraffini e di prima qualità, delle quali fa una grandissima spedizione per l’Italia ed all’estero" è stato per molti anni la punta di diamante di un realtà fatta di piccole ditte che non hanno mai raggiunto la dimensione per poter reggere a lungo la concorrenza proveniente da altre regioni. Nel 1861, secondo il censimento, esistevano a Pontedera 122 "pastai".  

All’esposizione italiana tenuta a Firenze nel 1861 si distingue anche un altro Paoletti, Giuseppe "per assortimenti di paste di grano duro da minestra, di forme e qualità variate tutte belle di apparenza, omogenee, compatte, pesanti, resistenti secondo la sottigliezza respettiva alla disgregazione nella cottura, per cui lasciano chiara e con pochissima fecula l’acqua". Giuseppe aveva 27 operai e produceva 200.000 kg di pasta. Dieci anni dopo c’erano 8 ditte per un totale di 93 operai. Nel 1881 c’erano 56 addetti e 2 fabbriche e sul finire del XIX secolo 7 con 48 "pastai".  

Agli inizi del ‘900 il mondo dei pastifici fu attraversato da una serie di scioperi. Gli operai chiedevano un aumento del salario e ai pastifici Frangioni, Paoletti e Melinossi si incrociarono le braccia fino a che non si giunse ad un accordo. Il 16 marzo 1903 "tutti gli operai del pastificio della Ditta Frangioni, in numero di 20 fra adulti e fanciulli, si posero in sciopero chiedendo, i primi, un aumento di 50 centesimi sulla mercede giornaliera ed i secondi l’aumento di 60 centesimi sul salario settimanale. La Società di mutuo soccorso, alla quale gli scioperanti appartenevano, cercò d’intromettersi, in favore degli operai, ma la Ditta non ne accettò l’intervento, e la controversia fu composta per l’intromissione dell’autorità di P.S. (…) Prima dello sciopero gli adulti guadagnavano lire 2 al giorno ed i fanciulli centesimi 40 alla settimana: dopo lo sciopero la mercede dei primi fu portata a lire 2.20 al giorno e quella dei secondi a lire 0.80 la settimana. L’orario di lavoro era di 10 ore". Nel periodo antecedente la prima guerra mondiale i pastifici più importanti sono quelli di Niccolò Fogli, Clarissa Paoletti e Cioppi che hanno rispettivamente 46, 29, e 36 addetti. Oltre a queste ditte esistevano i pastifici di Ermenegildo Fragioni, Ferdinando Melinossi, Panattoni & Chelotti, Romeo Vanni, Saturno Paoletti, Fausto Pettinelli, Amedeo Frangioni e Cesare Silvi. Niccolò Fogli aveva anche un mulino a Calci per la "macinazione dei cereali". La grande guerra con i conseguenti aumenti delle materie prime e le limitazioni nelle esportazioni causarono una crisi generale del settore che provocò un calo della produzione. Uno di quelli che riuscì a resistere fu Giovanni Cioppi che continuò l’attività fino agli anni 40. Altri raccolsero il testimone e questa tradizione non è stata mai veramente persa.