"La Fonderia Michelucci, la cattedra al Petrocchi: la mia vita a servizio dell'arte"

All'indomani dell'inaugurazione del nuovo studio di Gello, Luigi Russo in arte 'Papotto', ripercorre alcuni momenti salienti della sua vita

L'artista Luigi Russo Papotto

L'artista Luigi Russo Papotto

Pistoia, 12 novembre 2019 - La sua immensa valigia d’arte si è appena aperta per trovare spazio in un nuovo studio, costringendolo a un bellissimo viaggio all’indietro, ricordando se stesso e le proprie radici trascorse accarezzando la materia. «Perché io sono una persona che di scultura ha vissuto, vive. E che in questa ha trovato un senso e un equilibrio nel mondo, nella convivenza tra gli opposti, nella rappresentazione del tempo e della vita, così come io la vedo». Non può essere altrimenti se si pensa al primo preziosissimo aneddoto che Luigi Russo Papotto, classe 1955, siciliano d'origine, all'indomani dell’inaugurazione dello studio artistico di Gello in via Vecchia Montanina 74, ci offre: «Avevo 8 anni – dice con sorriso e nostalgia –, la scuola non mi piaceva. A quei tempi non c’erano grosse alternative e così mia mamma Sara disse che avrei dovuto provare a lavorare. Aveva un amico che faceva il marmista. Mi fece accogliere nella sua bottega. Mi piaceva studiarlo. E un giorno successe che tra le mie mani nacque una prima, piccola scultura in marmo. Era una testa, che ho ancora qui nel mio studio. Se al mio nome ho aggiunto ‘ Papotto’ è stato proprio in omaggio a mia madre che senza volerlo mi ha instradato: Papotto era infatti il suo cognome».

Fautore della scultura mobile – quella che si ritrova ad esempio nella «Scultura eolica», una sorta di spaventapasseri sonoro, e nella «Scultura precaria», un pannello perimetrato da calamite e con un pugno di vecchi ferri da posizionare sul quadro secondo un gesto frutto dell’immediatezza del passante –, una vita intensa dietro alla cattedra dell’Artistico di Pistoia di cui poi è stato vice preside («non ringrazierò mai abbastanza i miei ragazzi: sono loro che mi hanno dato il permesso di insegnar qualcosa»), Papotto è approdato a Pistoia passando per la porta principale, la storica Fonderia Michelucci. «Arrivai sul finire degli anni ‘70 come scultore ingranditore – racconta –. Ebbi l’onore di condividere momenti preziosi, altri anche più difficili, con chi dell’arte aveva fatto una ragione di vita. Qui ci si poteva sentire dei maestri davvero. Fu per me un enorme trampolino di lancio». Rame, gesso, carta, ferro, ottone: Papotto ha dato forma negli anni a una vastità di materiali, purché di recupero.

«Nel 1972 ho conosciuto lo scultore Henry Moore. Ero a Pietrasanta in quei giorni e decisi di portarlo in visita alle cave del marmo di Carrara. Quel che vidi dall’auto mano a mano che ci avvicinavamo alle cave, una deturpazione ambientale violenta, mi spaventò. Tornammo indietro e mi ripromisi di abbandonare qualsiasi materiale che non fosse povero e di recupero». Il simbolo, gli opposti, l'albero come portatore di vita, il tempo sono tematiche che ricorrono come ticchettii d’orologio costanti, non ad angosciare, quanto a far capire l’opportunità che ci è stata data ora e solo ora. «E’ nell’ermafrodita che vedo il perfetto – indica Papotto – il vero doppio che c’è in noi. E non dal punto di vista della sessualità ma dell’ambivalenza, del raggiungimento possibile di un equilibrio». Fare un giro nel nuovo studio di Gello è ad ogni passo una carezza all’anima, al passo successivo un pugno alla coscienza, ricordando la genesi del mondo e i più crudeli fatti di cronaca legati spesso al Medio Oriente.

E' qui, a Jeddah, che si trova ancora la sua monumentale porta, una scultura alta cinque metri che simbolicamente invita all'unione dei popoli. Fondamentale il suo cammino nel mondo della scenografia, che lo ha visto in prima linea nella realizzazione di opere destinate all'Arena di Verona, alla Scala di Milano, alla Fenice di Venezia e al Maggio Fiorentino. Un curriculum quello di Papotto ricchissimo per partecipazioni, amicizie e collaborazioni. E nonostante il prestigio al maestro resta ancora una parola di umiltà da consegnare a chi lo visita: «Onorato», a dimostrazione di quello che è il suo pensiero altissimo. «Siamo eternamente cadaveri, per un momento prestati alla vita - chiude Papotto -. E' ad essa che dobbiamo sorridere sempre».