
Una vecchia ricetta che spunta da un cassetto, la voglia di raccontare la città anche a tavola, ma anche e soprattutto di esportarla attraverso un prodotto che ha l’intenzione di esserne bandiera, a partire dal nome che porta. Ritorna dopo quarant’anni di "sonno" l’Amaro San Jacopo, grazie alla volontà di un pistoiese che nel settore del food è ormai volto noto, Francesco "Cecco" Innocenti, già titolare del Gargantuà in piazzetta dell’Ortaggio. La storia è semplice e ha il profumo di famiglia oltre che di scorza di limone e cannella. Renato Bartolini è un agente di commercio nel settore dei liquori. Gira l’Italia, conosce, assaggia, s’interessa alla "chimica" del prodotto, sperimenta in vicolo Taverna, ama evidentemente la sua città e sceglie di dedicarle un amaro digestivo di qualità "preparato secondo antiche ricette dell’alchimia ottocentesca, mediante l’infuso di erbe e radici note" battezzandolo "Amaro San Jacopo", sulla cui bottiglia campeggia fiera l’immagine disegnata di piazza del Duomo assieme allo stemma della città. Il liquore prodotto dall’allora Tuscania piace, circola in città, potrebbe davvero spiccare il volo. Poi la vita che sul cammino pone anche ostacoli inaspettati segna la fine di questa avventura, Renato muore ancora troppo giovane e la storia del "San Jacopo" cade nel sonno. Fino a quando tra chiacchiere di famiglia Francesco Innocenti rispolvera quegli aneddoti legati a Bartolini, suo zio di secondo grado, e ottiene il permesso dalla moglie Loretta e dalla figlia Isabella di replicare quella ricetta, di cui oggi lui è tra i pochi custodi. Il risultato è un nuovo prodotto dalla veste rinnovata, ma dal sapore originale seppure allineato ai gusti di oggi. "Alla ricetta di Renato ho aggiunto della scorza di limone e tolto dello zucchero – spiega ‘Cecco’ -. Il vestito dell’amaro, la sua bottiglia, vuole riprendere quella vecchia con un’etichetta rinnovata disegnata da Laura Pomposi, per tutti Kaori. Ho fatto i primi test appoggiandomi all’opificio Nunquam di Prato e ad oggi ho una produzione di 520 bottiglie. L’amaro è prodotto esclusivamente da erbe di coltivazione biologica e biodinamica, lasciate a macerare quindici giorni per poi procedere all’imbottigliamento". Ora quindi l’Amaro San Jacopo è pronto per imboccare una nuova strada, con non poche ambizioni. "All’inizio vorrei che questo prodotto si radicasse nelle rivendite e nei bar pistoiesi, ma poi mi piacerebbe davvero che potesse essere conosciuto altrove. E così farò, portandolo in giro ad amici e colleghi in tutta Italia, assieme anche alla mia compagna Leire che da sempre condivide con me questa passione". Ma qual è la particolarità di questo amaro in salsa pistoiese? "L’avere un gusto deciso, con quella componente di zucchero in meno che lo rende amaro per davvero – conclude Cecco -. Senza dimenticare le proprietà digestive riconosciute grazie a componenti come rabarbaro o zafferano. Può essere servito liscio o con ghiaccio e anche miscelato. Sto già studiando dei cocktail che partano dalla base del San Jacopo per diventare altro: primo fra tutti c’è quello che ho chiamato ‘Santiago’, un twist del Negroni classico che punta a valorizzare l’idea del cocktail antico ideato dal conte Camillo Negroni. Insomma, le sperimentazioni non sono che all’inizio".
linda meoni