Truffa sui permessi di soggiorno Il maxi processo non vedrà la fine

Dopo sei anni dall’arresto si è aperta l’udienza preliminare. Il gip ha rinviato a giudizio 45 imputati. C’è un consulente del lavoro pistoiese. Il procedimento partirà nel 2023 ma la prescrizione già incombe

Un maxi processo che, come sempre accade al tribunale di Prato, non vedrà mai la fine. Dopo quello sui money transfert e quello sul presunto clan Terracciano (entrambi sono ancora in corso), adesso tocca a quello che nel 2016 con ben 15 arresti portò alla luce il sistema di connivenze fra professionisti italiani e cittadini di origine orientale. Con quest’ultimo (senza considerare quello sulla mafia cinese di cui si è celebrata solo una udienza) la lista dei processi che non vedranno mai la fine si allunga.

Quando l’elenco degli imputati è nutrito – come in questo caso, ben 64 imputati, le sentenze al tribunale di Prato si dissolvono come una bolla di sapone. Ieri, a sei anni dagli arresti, si è aperta l’udienza preliminare per il consulente del lavoro Filippo Rosini, pistoiese con due studi di cui uno a Prato, quattro dipendenti del suo studio e 59 cinesi che, a vario titolo, avevano ottenuto i permessi di soggiorno farlocchi elaborati su buste paga, assunzioni, 730 o bilanci aziendali fittizi. Ieri il gip Francesca Scarlatti ha rinviato a processo 45 imputati (fra cui Rosini) con le accuse, a vario titolo, di truffa all’Inps, falso ideologico, induzione alla falsità ideologica di pubblico ufficiale, violazioni in materia di immigrazione clandestina. Il gip ha anche accolto il patteggiamento di una dipendente orientale e ha assolto, con rito abbreviato, per non aver commesso il fatto una delle impiegate dello studio Rosini finita nella bufera nel 2016. Inoltre, per sette posizioni è stata dichiarata la prescrizione. Ed eccoci alla prescrizione. Tutto il processo – la prima udienza è stata fissata nel febbraio del 2023 – ha le ore contate: fra un anno e mezzo arriverà inesorabile la prescrizione per tutti i capi di imputazione. Così la prima maxi inchiesta che portò alla luce il sistema di connivenze fra professionisti italiani e cittadini orientali (il cosiddetto "sistema Prato") si risolverà in un nulla di fatto. Anche perché è necessario andare parecchio indietro nel tempo prima di ritrovare molti degli episodi contestati nel procedimento, perfino al 2012. La maxi operazione della Guardia di finanza scattò nel novembre 2016 con 400 militari impiegati in mezza Italia. I numeri furono da capogiro: 111 perquisizioni, 15 arresti, 50mila euro in contanti sequestrati, 83 indagati e cinque milioni di evasione fiscale accertata. Il "sistema" accertato era presto fatto. Per l’accusa, i due studi professionali, in maniera autonoma tra di loro, gestivano le pratiche per il rinnovo dei permessi di soggiorno dei cinesi.

Fornivano i cosiddetti "kit" (che costavano fra i 1500 e i 1800 euro ciascuno) che gli orientali portavano in Questura con la documentazione per il rilascio: tre buste paga e un domicilio. Peccato, che, nella maggioranza dei casi, la documentazione fosse fittizia: assunzioni mai avvenute, licenziamenti subito dopo il fotosegnalamento, ditte che funzionavano da "cartiere" dove i cinesi risultavano lavorare, senza mai averci messo piede. Un meccanismo fotocopia, usato la maggior parte delle volte ed emerso durante le indagini per il Rogo alla Teresa Moda. Adesso resta solo una parola: prescrizione.

Laura Natoli