
Joann Zinkand è morta il 27 luglio 2019
Pistoia, 9 luglio 2022 - «Joann è morta dopo un’agonia durata sette ore. La sua sofferenza era chiara: fradicia di sudore, sembrava che dal suo corpo uscisse acqua, e tremava. L’ho assistita mentre era sulla barella, distesa in maniera scomposta su una barella accanto al bancone del pronto soccorso. Per cinque ore ho chiesto aiuto al personale, ma nessuno mi ha dato ascolto. Poi, all’improvviso, dopo le 4 di mattina, si è tirata su per un attimo, gli occhi sbarrati nei quali si leggeva la meraviglia per quello che stava accadendo, e si è accasciata senza vita. Solo dopo, si sono dati da fare: l’hanno portata in una stanzina e intubata. Ma dopo pochi minuti sono venuti a consegnarmi un sacchetto di plastica con la sua dentiera. Mi hanno detto che avrebbero fatto la tac: ma io sapevo già che lei non c’era più".
Un racconto doloroso, commosso a tratti ma sempre lucido, quello che ieri mattina ha reso, nell’aula del tribunale di San Marcuriale, davanti al giudice Pasquale Cerrone e al pm Leonardo De Gaudio, la principale teste del processo che vede imputati, con l’accusa di omicidio colposo, un medico e un’infermiera dell’ospedale San Jacopo: si tratta del dottor Paolo Mazzoni, 62 anni di Prato, difeso dall’avvocato Stefano Pinzauti ieri sostituito da Simone Quattrini di Prato, e dell’infermiera Diletta Martini, 31 anni di Prato, con il suo avvocato Cristina Meoni, mentre l’Asl è rappresentata dall’avvocato Lucia Coppola.
La vicenda è quella della morte di Joann Zinkand, artista americana di 74 anni, che da decenni si era trasferita a Pistoia, e che morì all’alba del 27 luglio 2019, intorno alle 5, al pronto soccorso dell’ospedale San Jacopo, nel quale era entrata alle 22 di sera, perché accusava un forte dolore toracico. Secondo quanto ricostruito dagli operatori, la donna accusava una pancreatite, che sarebbe stata immediatamente trattata. Prima degli ulteriori accertamenti, sarebbe sopraggiunto un ictus, e infine, due arresti cardiaci che non le avrebbero dato scampo. Diversa la ricostruzione resa dalla principale teste della pubblica accusa, l’amica di una vita di Joann, Edith, che con lei condivideva la passione per l’arte e le origini americane. "Conoscevo Joann da 50 anni, non era un tipo che si lamentava. Quella sera mi aveva scritto mentre era al Pronto soccorso, che stava malissimo aveva dolore e sudava freddo.
L’ultimo messaggio alle 23: sono arrivata da lei intorno alla mezzanotte e la situazione era critica. Aveva perso la parola, avvolta da lenzuola fradice per il sudore, tremava. Accanto a lei una flebo di tachipirina già vuota. Ho chiesto aiuto mille volte al bancone, finché non hanno minacciato di cacciarmi. A un certo punto, la situazione è precipitata, ha avuto un sussulto e si è accasciata. Solo allora un infermiere l’ha portata in una stanzina. E solo allora ho visto un medico che mi ha detto che era in coma, che aveva avuto una pancreatite acuta e un ictus, ma io sapevo che non c’era già più". Intorno alle 23,30 Joann aveva chiesto aiuto ad un’altra amica che ieri è stata ascoltata: "Mi chiamò perché andassi a riprenderla: mi disse che le avevano fatto gli esami e che era da tempo in attesa". Il processo riprende a settembre.
Martina Vacca