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Fiume di denaro sporco riciclato. Nei guai anche un commercialista
C’è anche un commercialista di Pistoia tra i soggetti rimasti incagliati in una vasta indagine condotta dal nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Napoli, dal Scico e dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Napoli che hanno notificato in 8 province (Napoli, Bologna, Prato, Pistoia, Monza, La Spezia, Genova e Battipaglia) 25 misure cautelari e un sequestro da circa 8,4 milioni di euro emessi dal gip su richiesta della Dda (Alessandra Converso e Maria Teresa Orlando).
Sono stati notificati – si apprende – tre arresti in carcere, nove agli arresti domiciliari e tredici all’obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria. Da quanto emerso il gruppo criminale – tra cui figurano anche soggetti legati alla criminalità organizzata – aveva investito il denaro sporco derivante dalle frodi fiscali e dalla contraffazione nell’abbigliamento di tendenza, nella ristorazione, nella vendita di orologi contraffatti e anche in altri settori economici. Tra i vari investimenti emersi anche la metà del capitale di una clinica per la cura dell’autismo, acquisita investendo di tre milioni di euro.
I reati contestati sono associazione per delinquere, ricettazione, detenzione e porto illegale di arma da fuoco in luogo pubblico, nonché di tentata estorsione e tentato omicidio aggravati dal metodo mafioso. L’organizzazione si sarebbe avvalsa di professionisti compiacenti, commercialisti, che si occupavano di "ripulire" i flussi finanziari di provenienza illecita. Tra questi, appunto, ci sarebbe anche il commercialista di Pistoia, presso il quale è scattato il blitz dei finanzieri.
Due le provenienze illecite dei profitti degli imprenditori: da una parte un vasto giro di merce contraffatta e dall’altra le frodi fiscali attuate nell’ambito di aziende attive in vari settori. Il gruppo, con base imprenditoriale a Napoli, aveva riciclato il denaro in molte società create o acquisite sia in Italia che all’estero e intestate a dei prestanome. Dalle indagini è emerso che alcuni investimenti del gruppo venivano supportati quasi quotidianamente con immagini e commenti pubblicitari sui principali social network.