
L'ex bomber Totò De Vitis
Pisa, 21 ottobre 2018 - La più dolce è l'ultima raccomandazione: «Solo una piccola cortesia: magari, se può, usi toni bassi. Non sono abituato a parlare di mio figlio in pubblico e l'ultima cosa che vorrei è quella di apparire invadente». Chi lo chiede è Totò De Vitis, sì proprio lui, il bomber che a cavallo fra gli anni '80 e '90 diventò l'idolo delle tifoserie di mezza Italia e lo spauracchio dell'altra metà: ha cambiato tante maglie e con tutte ha segnato caterve di gol (159 in tutto quelli realizzati a fine carriera). Ma è anche il papà di Alessandro, “l'uomo della provvidenza” della mediana nerazzurra, perché da quando D'Angelo lo ha riportato al suo ruolo di centrocampista la musica è improvvisamente cambiata: due vittorie, accompagnate da una sola rete subita e cinque realizzate, di cui due proprio dal figlio d'arte.
Dunque il gol è nel dna di famiglia?
«Non la metterei proprio così: Alessandro sa anche segnare, ma è tutt'altro tipo di giocatore rispetto al sottoscritto ...».
Nemmeno da bambino voleva giocare centravanti per emulare il papà?
«Siete proprio fuori strada (ride ndr): pensi che quando aveva sette o otto anni faceva addirittura il difensore».
Mica sarà d'accordo pure lei con D'Angelo che all'inizio lo faceva giocare in mezzo alla difesa? «
Guardi, il Pisa ha un allenatore che capisce di calcio e sa benissimo in quale posizione Alessandro può offrire un rendimento migliore. Però la squadra è stata in emergenza per qualche settimana e bisognava che qualcuno si adattasse: mi pare peraltro che mio figlio se la sia cavata egregiamente ...».
E anche senza batter ciglio. «Ci mancherebbe pure che avesse da ridire (ride ndr): è un professionista e gioca nel Pisa ...».
A proposito, è vero che è stato lei a suggerigli due anni fa di venire in nerazzurro?
«Non è andata proprio così: semplicemente quando mi ha chiesto un parere, prospettandomi la possibilità di venire a giocare all'Arena, gli ho detto che per me era la scelta più giusta. Insomma, non credo sia merito mio se è lì, ma sono molto contento che sia venuto».
Anche se è sceso di categoria, nonostante avesse richieste in cadetteria?
«E' vero che a Latina, a livello personale aveva disputato la sua migliore stagione, però ci sono certe sfide per un calciatore hanno un sapore particolare: vuol mettere che cosa potrebbe significare riuscire a riportare, un giorno, il Pisa in B?»
Me lo dica lei.
«Non so immaginarlo perché non ho mai giocato lì. Però capito spesso all'Arena e c' ero anche la sera della presentazione. Confesso: mi sono emozionato. Se uno sceglie di fare il calciatore, è anche per vivere quelle sensazioni».
Pensi che c'è pure chi dice a Pisa le pressioni sono eccessive.
«E' un alibi che non regge e che di sicuro non vale per mio figlio: giocare in C davanti a sette o otto mila spettatori è una goduria. Poi il pubblico di Pisa è intelligente e capisce di calcio»