
Neri Marcoré
Pisa, 21 gennaio 2016 - Dal cinema al teatro, dalla fiction alle canzoni. Per non parlare delle imitazioni (le più famose quelle di Maurizio Gasparri e Alberto Angela) che cominciarono già ai tempi del militare, quando suscitava l'ilarità dei compagni riproducendo la voce dei comandanti della caserma. Un Nastro d'Argento e due nomination ai David di Donatello, Neri Marcoré è artista poliedrico che unisce la comicità all'ironia, la giocosità all'impegno civile. Ed è oggi tra gli attori italiani più amati, forse anche per quei suoi toni tranquilli e per quell'aria un po' bohemienne da poeta antidivo che lo fanno apparire come il vicino della porta accanto e non come un idolo dello schermo. Così ovunque miete successi e i suoi spettacoli fanno il tutto esaurito.
Come a Pisa, dove sarà sabato e domenica con 'Quello che non ho', un affresco teatrale che si interroga sui nostri giorni con storie emblematiche intrecciate alle canzoni di Fabrizio De André e alla rabbia di Pasolini. "La pièce è il punto di incontro tra due idee ", racconta Marcoré. "A me piaceva prendere in considerazione alcuni temi cari a De André, a Giorgio Gallione, regista e autore, il pensiero di Pasolini. Su questo abbiamo cominciato a costruire il copione".
A chi vuol parlare lo spettacolo?
"Non c'è una morale, né vogliamo mandare messaggi. Semplicemente mettiamo sul tavolo una serie di argomenti legati ai problemi del nostro pianeta, sia sul piano ambientale che su quello politico. Inquinamento, camorra, sfruttamento minorile, prostituzione, sono tutti aspetti della nostra epoca, certamente poco confortanti. Da questo punto di vista lo spettacolo può innescare una riflessione, utile ai giovani, ma anche ai meno giovani: serve a tutti allargare il proprio sguardo. Poi è chiaro che ognuno si porta a casa impressioni diverse, l'importante è sviluppare una coscienza critica. Finora ci hanno detto che facciamo uno spettacolo utile e persino necessario. E noi siamo molto contenti di queste reazioni".
Perché Pasolini e De André? Cosa ci hanno insegnato?
"Sono due grandi personaggi, ma lo spettacolo non vuole essere un omaggio a loro. De André scandisce la narrazione con le sue canzoni mentre di Pasolini ricorrono invettive e citazioni. I loro punti di vista sono utili a liberare il nostro sguardo dai pregiudizi che inevitabilmente ci accompagnano, agevolando così il confronto con gli altri, ma prima di tutto con noi stessi".
Come se fosse un traguardo da raggiungere?
"Sì, ma senza avere la pretesa di smuovere montagne, cosa che può anche rappresentare un alibi all'indifferenza. Quando invece riusciamo a fare dei cambiamenti, anche minuscoli, nel nostro atteggiamento, all'interno della nostra famiglia o nella cerchia di amici; se semplicemente ci mettiamo in discussione, allora abbiamo già fatto un passo avanti. Anche solo concedersi tempi più lenti prima di giudicare, o non giudicare affatto, a me sembra una conquista importante".
Cosa insegna ai suoi figli?
"Nel mio tentativo e speranza, a comportarsi onestamente. I ragazzi non hanno bisogno di parole, ma di esempi. Certo, i frutti degli insegnamenti non sono mai immediati, ci vogliono tempo e pazienza, ma solo lavorando nel particolare si può sperare in un cambiamento generale".
Ottimista o pessimista?
"Direi ottimista perché ho fiducia nell'animo umano. Però l'ottimismo a parole serve a poco se non lo si ancora ad un impegno continuo. Il senso della cultura per me è proprio questo: alimentare un senso critico e sete di informazioni, il che aiuta a disinnescare paura e arroccamenti nelle proprie posizioni, premessa di intolleranze verso il prossimo".
Il teatro serve?
"Il teatro è uno dei pilastri in questa direzione. Ogni forma d'arte allarga gli orizzonti e le sensibilità, per cui diventa più facile comprendere e legittimare punti di vista diversi dal proprio".
Ha già fatto altri spettacoli con canzoni famose. Questa volta De André, ma ci sono già stati Giorgio Gaber e i Beatles. Anche la canzone è cultura?
"E' un veicolo. E' anche una passione personale: mi è sempre piaciuto cantare, accompagnarmi con la chitarra e ascoltare musica". De André è un suo idolo? "Non ho idoli. Ma certo fa parte del panorama degli artisti musicali che più seguo e amo"
Cosa c'è nel suo futuro?
"Non lo so con precisione. Finito il tour teatrale con 'Quello che non ho' ci sarà un po' di cinema, poi un po' di fiction. Però è ancora tutto da girare. E l'anno prossimo ancora teatro con questo spettacolo. Insomma, un po' di tutto, a rotazione, come sempre".
Ha rimpianti?
Nemmeno uno. Sono contento delle scelte che ho fatto e non ho rimpianti per quelle che ho lasciato passare. D'altronde io sono così: non mi esalto mai per i successi, né mi abbatto per gli insuccessi". Direi che è un grande saggio... "Eh, chi lo sa....In ognuno di noi c'è una parte di saggezza e una di avventatezza e follia. Tendenzialmente sono un tipo riflessivo e mi piace restare con i piedi per terra, anche se poi nelle decisioni non trascuro l'istinto".
Quello che non ho, dice De André nella canzone che dà il titolo al tuo spettacolo, è una camicia bianca. E poi ancora: un segreto in banca, un orologio avanti, le mani in pasta e molto altro. Lei cosa non ha?
"Quello che non ho in questo momento della mia vita è l'ansia da prestazione. Non perché l'abbia avuta in passato in modo particolare, ma adesso sono ancora più rilassato e sereno"