
Una carta della Grecia Antica
PISA, 2 febbraio 2017 - Tiene banco sui social il dibattito sul futuro del liceo classico e, più in generale, sull’utilità di una formazione classica nell’epoca del web e delle competenze digitali. In questo contesto ospitiamo il contributo della professoressa Francesca Nenci, per lunghi anni docente al liceo classico Galileo Galilei di Pisa, studiosa che ha curato, tra l’altro, numerose traduzioni di autori classici per grandi editori nazionali. L’intervento punta i riflettori sul libro di Andrea Marcolongo «Il greco lingua geniale: 9 ragione per amare il greco», edito da Laterza.
Sono davvero i Greci – scrive – che hanno inventato l’ottativo e il duale? Lo crede fermamente Andrea Marcolongo nel suo libro ‘Il greco lingua geniale, 9 ragioni per amare il greco’, Laterza. L’autrice, sorprendentemente, pare condividere il mito dell’autoctonia, quindi della purezza delle origini, che, come ben si sa o come si dovrebbe ben sapere, è un’elaborazione dei Greci stessi. Tale mito occupa tanta parte dei tre generi della retorica, in particolare dell’oratoria attica epidittica, celebrativa e panegirica di carattere propagandistico, il genere in cui si distinse Isocrate. Il mito dell’autoctonia fu rielaborato nel Rinascimento, ma soprattutto nell’Ottocento dalla filologia tedesca. Questo modello culturale, le cui propaggini imperialistiche non sono difficili da riconoscere nella storia tragica dell’Europa della prima metà del secolo scorso, subentrava ad un altro, che vedeva ascendenze semitiche ed egizie sia nella cultura sia nella lingua.
Si trattava di un modello antico, già riconosciuto da Platone, Erodoto, Eschilo, e soppresso dal classicismo europeo del XIX-XX secolo, così pieno di razzismo, nazionalismo, colonialismo, che Martin Bernal (Black Athena, 1987) definisce «il modello ariano». La realtà, era diversa, come i Greci stessi ben sapevano: autoctoni essi non erano. Scrive un grande studioso, Arnaldo Momigliano, in Saggezza straniera: «Quando noi parliamo di radici greche della nostra civiltà abbiamo dimenticato, più o meno coscientemente, il debito che abbiamo verso Celti, Germani e Arabi. Non ci è invece mai permesso di dimenticare quello verso la Grecia, il Lazio e la Giudea»; in breve, siamo stati “semicoscienti” avendo dimenticato una vasta area di civiltà che ha fortemente influito sull’orizzonte culturale e formativo dell’Occidente.
Sull’argomento si ritiene fondamentale anche il lavoro di Martin L. West, che ha messo in luce la mescolanza e, quindi, la ‘creolizzazione’ delle lingue e dei popoli che occupavano la vasta area del Mediterraneo e del Medio Oriente. Sulla mescolanza dei popoli e delle lingue si vedano anche le Conversazioni di Claudio Magris con Édouard Glissant, apparse sul Corriere della Sera (1 ottobre 2009). Secondo Bernal (cit.) gli stessi Greci erano coscienti della provenienza egizia, quindi africana, e fenicia, quindi semitica, di elementi e fattori determinanti della cultura greca, quali l’alfabeto, nomi di luoghi e persone, molte narrazioni mitologiche, alcuni aspetti del pensiero filosofico e politico: (e.g.) la democrazia greca, che noi sentiamo alla base di concezioni politiche occidentali, sarebbe stata anticipata dall’assemblea dei liberi in età sumerica, e alcuni teoremi attribuiti a Pitagora sarebbero già stati scoperti dai Babilonesi già nel II millennio a.C. Molti mitologhemi greci, come la castrazione del padre divino da parte del figlio Crono o come l’intera epopea odissiaca, trovano antecedenti e paralleli in narrazioni mesopotamiche, urrite o ittite; l’intera Teogonia di Esiodo dipende, come è ormai acclarato, dal poema accadico “Enûma elish”, II millennio a.C.
Alla luce di questi fatti si deve concludere che la Grecia è parte dell’Asia e che la letteratura greca è una letteratura medio-orientale e che, pertanto, si può davvero parlare di una koiné esistente nel Mediterraneo orientale, di cui la cultura greca, futura culla dell’Occidente, era una delle tante espressioni e spesso non la prima; questo non toglie valore all’antichità greca, forse vi aggiunge anche la ricchezza della multiculturalità proprio grazie agli apporti medio-orientali e africani. Qualsiasi grammatica storica e comparativa smentisce l’affermazione, a dir poco ingenua, che i Greci avrebbero inventato l’ottativo e il duale: in realtà queste forme erano proprie di tutte le lingue indeuropee. L’opinione di J. Humbert (Syntaxe grecque, Paris 1993, pp. 16-17) è che il duale sparisca dall’uso man mano che una società cresce intellettualmente, poiché opporre uno a parecchi o a molti presuppone capacità di astrazione assai sviluppate; perciò non è un caso che sia sparito dalle lingue arabe delle popolazioni sedentarie. L’uso del duale tende a scomparire in tutte le lingue indeuropee tranne che nel lituano e nello sloveno.
Per quanto riguarda la Grecia, il duale non era usato nel dialetto ionico ed era rarissimo nel lesbico. In Grecia scompare dalle iscrizioni a partire dal IV a.C. e non se ne trovano tracce, se non nella forma di reminiscenze, dal I sec. d. C. in poi (cfr. D. Pieraccioni, Morfologia della lingua greca, Firenze 1975, p. 29 § 13). I numeri quindi rimasero due: singolare e plurale. Neppure l’ottativo è invenzione dei Greci, i 3 quali lo condividevano con gli altri popoli indeuropei, insieme all’indicativo, al congiuntivo, al desiderativo (quest’ultimo serviva a formare il futuro). L’ottativo indeuropeo indicava una possibilità o, più probabile all’origine, il desiderio; la concorrenza col congiuntivo lo ha ben presto eliminato, ma lo ha impiegato come modo della subordinazione fra un verbo dipendente ed un verbo principale, le cui azioni si situano entrambe nel passato (cfr. Humbert, cit. pp. 116-123 §§ 188 - 204; D. Pieraccioni, cit. p. 135 § 207). Se mai, paradossalmente, si potrebbe dire che i Greci, come altri popoli indeuropei, lo hanno fatto sparire!
Sulla base di queste osservazioni (altro, certo, si potrebbe aggiungere) mi chiedo e chiedo all’Autrice: come si fa a dire ed a scrivere che sono stati i Greci ad inventare l’ottativo e il duale ed i loro miti? Ed agli studenti che cercano e vogliono imparare il greco mi preme di dire che la vera storia della lingua e della civiltà greca è assai più bella, più ricca e assai più avventurosa di quella che la Marcolongo nel suo libro descrive.
Certo mi stupisce – prosegue Francesca Nenci – che una Casa Editrice prestigiosa come quella di Giuseppe Laterza, la cui nascita si colloca all’inizio del Novecento con la pubblicazione dei libri di Croce e di Gentile e più tardi di quelli di Eugenio Garin, insigne studioso di umanesimo latino e del grecista Manara Valgimigli, appassionato e fine traduttore, si sia volta ad una operazione non culturale, ma commerciale, con un successo che considero preoccupante per la scuola italiana. Il libro in questione, scritto nello stile dell’emotikon, certo inappropriato ad una collana di saggistica, è non solo superficiale e contiene inesattezze, per non dire errori, ma è anche nocivo, perché dice il falso ed inoltre illude, presentando come facile quel che facile non è. In proposito citerò un passo da George Steiner, Errata, Una vita sotto esame, Garzanti, Milano 1999, poiché pare scritto proprio per un libro come quello della Marcolongo: «È questo il punto: indirizzare l’attenzione dello studente verso quello che, all’inizio, egli non può capire, ma la cui grandezza affascinante lo afferra. La semplificazione, il livellamento e l’annacquamento che prevalgono oggi nell’educazione, tranne in rarissimi casi privilegiati, sono 4 criminali. Si tratta di disprezzo per le nostre capacità latenti. Le crociate contro il cosiddetto elitismo nascondono una condiscendenza volgare verso tutti coloro che vengono a priori giudicati incapaci di miglioramento. Sia il pensiero (conoscenza, Wissenschaft, fantasia alla quale si dà una forma) sia l’amore pretendono troppo da noi. Ci umiliano. Ma l’umiliazione, persino la disperazione davanti alla difficoltà – abbiamo sudato tutta la notte eppure l’equazione rimane irrisolta, la frase greca incompresa – possono trovare l’illuminazione all’alba».