Quando la Torre di Pisa finì nel mirino della mafia

A 30 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino, il territorio non dimentica

I giudici Falcone e Borsellino in una foto d’epoca

I giudici Falcone e Borsellino in una foto d’epoca

Pisa, 23 maggio 2022 - Trent’anni da quel periodo buio e che pure ha dato la forza di reagire a tanti. Un esempio di dedizione, impegno, serietà che ha superato la morte e quel tentativo di rendere debole lo Stato. Giovanni Falcone, simbolo della lotta alla mafia, fu ucciso da Cosa nostra insieme alla moglie e ai tre uomini della scorta proprio il 23 maggio del 1992.

Negli stessi anni, anche la Torre di Pisa sarebbe finita nel mirino di Cosa nostra. "Un attentato alla Torre di Pisa e ai templi di Selinunte e il progetto di disseminare la riviera romagnola di siringhe infette per danneggiare il turismo italiano", erano tra "i progetti di Cosa Nostra".

A raccontarlo era stata L’Ansa, notizia poi ripresa da molti quotidiani, riportando le parole del pm Gabriele Paci nel corso della requisitoria nel processo al super latitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e via D’Amelio. E condannato a ottobre 2020 all’ergastolo.

Una ricostruzione fatta partendo dal "collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera. Quest’ultimo parlò di una trattativa tra il mafioso Antonino Gioè e l’estremista di destra Paolo Bellini. Bellini, secondo La Barbera, contattò Gioè per chiedergli se Cosa Nostra era disponibile a far ritrovare allo Stato alcune opere d’arte rubate.

Il padre di Messina Denaro, Francesco, era un esperto", aveva affermato sempre il dottor Paci. "Da giovane commerciava reperti archeologici della zona di Selinunte. Anche Matteo si era fatto una cultura sommaria di questa materia. Giovanni Brusca chiese a Totò Riina di essere autorizzato a parlare con Matteo Messina Denaro per verificare il reperimento di opere d’arte da utilizzare nell’ambito della trattativa.

Messina Denaro - aveva ricostruito il Pm Paci - lo mise in contatto con un esperto con cui Brusca si incontrò all’interno della gioielleria Geraci. Gioè portò a Bellini la risposta di Giovanni Brusca: ‘possiamo trattare, ma soltanto in cambio di interventi sui detenuti. Poi la trattativa si arenò".

"Fu dagli incontri con Bellini che uscì fuori la frase ‘pensa che succede se cade la torre di Pisa’", anche se - da quanto raccontano i collaboratori - non è chiaro se la paternità fosse sua o di Nino Gioe’, poi morto suicida in carcere (il 28 luglio 1993)".

Oggi, alle 9, alla Città del teatro, organizzato dal Comune di Cascina per le scuole del territorio, si terrà un incontro sulle stragi moderato dal nostro giornalista Saverio Bargagna. Partecipano Giuseppe Lumia, già presidente commissione parlamentare antimafia, Antonio Russo, vicepresidente nazionale Acli, il sindaco Michelangelo Betti, Francesca Mori, assessore. Letture di Samuele Boncompagni.